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Paolini1-Eragon.doc - Volodyk

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«Da quanto sono qui?»

«Due giorni.»

Due giorni! Voleva dire che il suo ultimo pasto risaliva a quattro giorni prima! Al solo pensiero fu preso da un profondo senso di debolezza. Saphira è rimasta da sola tutto questo tempo; spero che stia bene.

«Tutta la città vuole sapere che cosa è successo. Hanno mandato degli uomini alla fattoria e l'hanno trovata distrutta.» Eragon annuì; se l'era aspettato. «Il fienile era bruciato... È così che si è ferito Garrow?»

«Io... non lo so» disse Eragon. «Non c'ero quando è successo.»

«Be', non importa. Sono sicura che la verità si saprà presto.» Gertrude riprese a fare la maglia mentre la zuppa bolliva. «Hai una bella cicatrice sul palmo.»

Eragon strinse il pugno, per un riflesso istintivo. «Già.»

«Come te la sei fatta?»

Gli vennero in ménte diverse risposte. Scelse la più semplice. «Ce l'ho da quando ho memoria. Non ho mai chiesto a Garrow la sua origine.»

«Mmm...» Calò il silenzio, interrotto soltanto dal borbottio della pentola. A un certo punto. Gertrude tolse la zuppa dal fuoco e ne versò una scodella a Eragon, porgendogli anche un cucchiaio. Lui l'accettò volentieri e sorbì una cauta cucchiaiata. Era squisita.

Quando ebbe finito, chiese: «Posso andare a trovare Garrow adesso?»

Gertrude sospirò. «Sei un ragazzo ostinato, eh? Be', se proprio lo desideri, non ti fermerò. Vestiti, ti accompagno.»

Lei si voltò mentre lui si infilava le braghe a fatica; strinse i denti quando gli strusciarono sulle bende. Poi toccò alla camicia, e Gertrude lo aiutò ad alzarsi. Sentiva le gambe deboli, ma non gli facevano più male come prima.

«Prova a fare qualche passo» gli ordinò lei, poi osservò secca: «Almeno non dovrai strisciare fino da Horst.»

Fuori, il vento gli soffiò sul viso il fumo che si spandeva dalle costruzioni vicine. Nubi di temporale nascondevano la Grande Dorsale e coprivano la valle, mentre un fronte nevoso avanzava verso il villaggio, oscurando le colline, Eragon si appoggiò con tutto il suo peso a Gertrude mentre percorrevano le vie del villaggio.

Horst aveva costruito la sua casa a due piani su una collina, per poter godere del panorama sulle montagne. Ci aveva messo tutta la sua arte. Il tetto di scisto spioveva su un balcone con la ringhiera, che si apriva davanti a un'alta finestra al secondo piano. Ogni pluviale aveva la forma di un gargoyle, e ogni porta e finestra era incorniciata da intagli di serpenti, cervi, corvi e rampicanti, Ad aprire la porta fu Elain, la moglie di Horst, una donna piccola e minuta, dai lineamenti delicati, i biondi capelli serici raccolti in una crocchia. Il suo abito era semplice e pulito, i suoi movimenti aggraziati. «Prego, entrate» disse con voce dolce. Varcarono la soglia e si trovarono in un'ampia stanza bene illuminata. Una scala dalla balaustra lucida si curvava fino al pavimento. Le pareti erano color miele. Elain scoccò a Eragon un sorriso mesto, ma si rivolse a Gertrude: «Stavo proprio mandando a chiamarti. Non sta bene. Devi vederlo subito.»

«Elain, ti spiacerebbe aiutarlo a salire le scale?» disse Gertrude, e si affrettò a salire i gradini a due a due.

«Non importa, posso farcela da solo» disse Eragon.

«Sicuro?» domandò Elain. Lui annuì, ma lei parve esitare. «D'accordo.,. ma non appéna hai finito, scendi da me in cucina. Ho appena fatto una crostata che ti piacerà.» Non appena la donna scomparve oltre una porta, Eragon si appoggiò al muro, sfinito. Poi prese a salire le scale, un passo doloroso dopo l'altro. Quando fu in cima, vide un lungo corridoio su cui si affacciavano parecchie porte. L'ultima era socchiusa. Trasse un respiro profondo e si avviò da quella parte. C'era Katrina accanto a un camino, intenta a far bollire delle pezze. La ragazza alzò lo sguardo, mormorò il suo dispiacere, poi tornò al suo lavoro. Gertrude era accanto a lei, intenta a pestare erbe per un impiastro. Un secchio ai suoi piedi conteneva neve che si stava sciogliendo nell'acqua fredda. Garrow giaceva a letto, sotto una montagna di coperte. La sua fronte era madida di sudore, e sotto le palpebre chiuse gli occhi tremolavano, ciechi. La pelle del volto era tesa come quella di un cadavere. Era immobile; solo un lieve tremore tradiva il suo respiro affannato. Eragon toccò la fronte dello zio, sentendosi remoto, strano. Scottava. Alzò con apprensione le coperte e vide che le ferite èrano state fasciate. Dove stavano cambiando le bende, le ustioni erano esposte. Non avevano ancora cominciato a rimarginarsi. Eragon guardò Gertrude con occhi disperati. «Non puoi fare niente per queste?»

La donna immerse una pezza nel secchio d'acqua gelata, la strizzò e la posò sulla fronte di Garrow. «Ho provato di tutto: balsami, impiastri, tinture, ma non è servito a niente. Se le ferite si rimarginassero, avrebbe maggiori probabilità. Tuttavia le cose possono ancora migliorare. È un uomo forte e resistente.»

Eragon si spostò in un angolo e si lasciò scivolare fino a terra. Non era così che dovevano andare le cose! Il silenzio inghiottì i suoi pensieri. Fissò il letto con occhi spénti. Dopo un po' si accorse che Katrina si inginocchiava vicino a lui e gli posava una mano sulla spalla. Davanti alla sua assenza di reazioni, la ragazza si allontanò con aria diffidente.

Qualche tempo dopo la porta si aprì ed entrò Horst. Parlò con Gertrude a bassa voce, poi si avvicinò a Eragon. «Andiamo. Devi uscire di qui.» Prima che Eragon potesse protestare. Horst lo trasse in piedi e lo condusse alla porta.

«Io voglio restare» piagnucolò il ragazzo.

«Hai bisogno di una pausa e di un po' d'aria fresca. Non preoccuparti, potrai tornare presto» lo consolò Horst.

A malincuore Eragon lasciò che il fabbro lo aiutasse a scendere le scale per andare in cucina. Gli odori di tuia mezza dozzina di piatti, ricchi di spezie ed erbe, riempivano l'aria. Albriech e Baldor stavano chiacchierando con la madre, intenta .a impastare il pane. I fratelli tacquero quando videro Eragon, ma lui udì abbastanza da sapere che stavano parlando di Garrow.

«Ecco, siediti qui» disse Horst, porgendogli una sedia.

Eragon si sedette riconoscente. «Grazie.» Le sue mani tremavano un po', così le strinse in grembo. Un piatto pieno di cibo gli fu posato davanti.

«Non devi mangiare per forza» disse Elain. «ma se ne hai voglia...» Tornò a cucinare, mentre lui prendeva una forchetta. Riuscì a stento a inghiottire un paio di bocconi.

«Come ti senti?» disse Horst.

«Malissimo.»

Il fabbro attese un istante. «Lo so che questo non è il momento adatto, ma dobbiamo sapere... che cosa è successo?»

«Non mi ricordo, davvero.»

«Eragon» disse Horst, proteso verso di lui. «io ero fra quelli che sono andati a vedere la fattoria. La tua casa non è solo crollata. Qualcosa l'ha fatta a pezzi. Intorno c'erano tracce di una bestia gigantesca che non ho mai visto. Anche gli altri le hanno viste. Ora, se c'è uno Spettro o un mostro che vaga qui intorno, dobbiamo saperlo. Tu sei l'unico che può dircelo.»

Eragon sapeva di dover mentire. «Quando ho lasciato Carvahall...» e contò il tempo. «... quattro giorni fa, c'erano degli….stranieri in città che facevano domande su una pietra che avevo trovato.» Guardò Horst negli occhi. «Sei stato tu a parlarmene, e così sono corso a casa.» Tutti lo stavano fissando. Si bagnò le labbra. «Non... non è successo niente, quella notte. La mattina dopo ho sbrigato le mie faccende e sono andato a fare una passeggiata nella foresta. A un certo punto ho sentito un'esplosione e ho visto del fumo oltre gli alberi. Mi sono precipitato alla fattoria, ma chiunque avesse compiuto quello scempio era scomparso. Ho scavato fra le macerie e… ho trovato Garrow.»

«E così l'hai messo su quella tavola e l'hai trascinato qui?» disse Albriech.

«Sì» rispose Eragon. «ma prima di partire ho dato un'occhiata al sentiero che porta alla strada maestra. C'erano due serie di impronte, entrambe di uomini.» S'infilò la mano in tasca e trasse il pezzo di stoffa nera. «Ho trovato questo. Lo stringeva in mano Garrow. Credo che appartenga agli abiti di quegli stranieri.» Lo posò sul tavolo.

«Infatti» disse Horst. Sembrava tanto arrabbiato quanto perplesso. «E le tue gambe? Come ti sei fatto male?»

«Non lo so per certo» disse Eragon, il capo. «Credo che sia successo mentre liberavo Garrow dalle macerie. È stato solo quando il sangue ha cominciato a colarmi lungo i polpacci che me ne sono accorto.»

«È orribile!» esclamò Elain.

«Dobbiamo acciuffare quegli uomini» dichiarò Albriech, infervorato. «Non devono passarla liscia! Con un paio di buoni cavalli possiamo raggiungerli domani e riportarli qui.»

«Togliti queste sciocchezze dalla testa» disse Horst. «Sarebbero capaci di sollevarti come un bambino e scaraventarti su un albero. Ricordi com'era ridotta la casa? Non voglio averci a che fare, con quella gente. Per giunta, hanno già quello che vogliono.» Guardò Eragon. «Hanno preso la pietra, vero?»

«Non era in casa.»

«Quindi non c'è ragione che tornino, ora che è in mano loro.» Scrutò il ragazzo più da vicino. «Non hai detto niente di quelle strane impronte. Sai da dove venivano?»

Eragon scosse la testa. «Non si capiva.»

Baldor intervenne. «Non mi piace questa storia. Sa di stregoneria. Chi sono questi uomini? Sono Spettri? Perché volevano la pietra, e come hanno fatto a ridurre così la casa se non ricorrendo a poteri oscuri? Potresti avere ragione, padre, forse volevano soltanto la pietra, ma ho la sensazione che li rivedremo.»

Il silenzio seguì le sue parole.

Qualcosa però era stato tralasciato, anche se Eragon non sapeva dire che cosa. Poi ebbe una folgorazione. Con il cuore a pezzi, diede voce al suo sospetto. «Roran non sa niente, vero?» Come aveva fatto a dimenticarlo?

Horst fece cenno di no. «Lui e Dempton sono partiti poco dopo di te. A meno che non abbiano incontrato difficoltà lungo la strada, ormai dovrebbero essere arrivati a Therinsford da un paio di giorni. Volevamo mandar loro un messaggio, ma ieri e l'altro ieri il tempo è stato troppo, brutto.» «Io e Baldor stavamo per partire quando ti sei svegliato» disse Albriech.

Horst si passò una mano sulla barba. «Allora andate, voi due. Vi aiuto a sellare i cavalli.» Baldor si rivolse a Eragon. «Non temere, gli racconterò tutto con la dovuta cautela» promise; poi seguì Horst e Albriech fuori dalla cucina.

Eragon rimase seduto al tavolo, gli occhi concentrati su un nodo del legno. Ogni dettaglio gli appariva nitido: le venature contorte, un bozzo impreciso, tre piccoli solchi di colore un po' diverso. Il nodo era pieno di minuscoli particolari: più lo guardava da vicino, più cose vedeva. Cercò una risposta in esso, ma se c'era, gli sfuggiva.

Un debole grido interruppe il corso dei suoi pensieri. Sembrava che qualcuno fuori stesse urlando. Lo ignorò. Lascia che se ne occupi qualcun altro. Qualche minuto dopo lo udì ancora, più forte. Sbuffò, stizzito. Perché non abbassano la voce? Garrow sta riposando. Guardò Elain, ma lei non parve infastidita dal baccano.

ERAGON! Il ruggito lo colpì tanto forte che quasi cadde dalla sedia. Si guardò intorno allarmato, ma non era cambiato niente. All'improvviso capì che le grida venivano da dentro la sua testa. Saphira? chiese ansioso.

Ci fu una pausa. Sì, orecchie di pietra.

Si sentì sollevato. Dove sei?

La dragonessa gli inviò l'immagine di un boschetto. Ho provato a chiamarti molte volte, ma eri troppo lontano.

Sono stato male… ma adesso va meglio. Perché non ti potevo sentire prima?

Dopo due notti di attesa, mi è venuta fame. Sono stata a caccia.

E cosa hai preso?

Un capriolo. Era abbastanza saggio da guardarsi dai predatori di terra, ma non da quelli del cielo. Quando l'ho preso tra le mie fauci, ha scalciato per tentare di fuggire. Ma io ero più forte, e quando ha capito di essere sconfitto, si è arreso ed è morto. Anche Garrow lotta contro l'inevitabile?

Non lo so. Le raccontò i particolari, poi disse: Passerà ancora del tempo prima che io possa tornare a casa. Non potremo vederci per almeno altri due giorni. Devi continuare a cavartela da sola. Farò come dici, sospirò la dragonessa, avvilita. Ma non metterci troppo.

Si separarono a malincuore, Eragon guardò fuori dalla finestra e si stupì nel vedere che il sole era tramontato. Sentendosi molto stanco, si alzò vacillante per andare da Elain, che stava avvolgendo dei pasticci di carne in carta oleata. «Torno a casa di Gertrade a dormire» le disse. Lei finì di chiudere i pacchetti e domandò: «Perché non resti con noi? Starai più vicino a tuo zio, e Gertrude potrà riavere il suo letto.»

«Avete posto?» domandò, esitante.

«Ma certo.» Si asciugò le mani. «Vieni con me; ti faccio vedere.» Lo accompagnò in una stanza vuota al piano di sopra. Eragon si sedette sul bordo del letto. «Ti serve niente?» gli chiese lei. Lui scosse il capo. «Comunque io sarò di sotto. Chiamami, se hai bisogno.» Eragon ascoltò i passi di Elain scendere le scale. Poi aprì la porta e scivolò lungo il corridoio, fino alla camera di Garrow. Gertrude gli sorrise da sopra i ferri da calza.

«Come sta?» sussurrò lui.

La voce della donna era velata dalla stanchezza. «È debole, ma la febbre si è abbassata, e qualche ustione sembra vada meglio. Non possiamo far altro che aspettare, ma forse questo significa che può guarire.»

Di umore migliore, Eragon tornò nella sua stanza. Il buio lo avvolse ostile mentre si rintanava sotto le coperte. Alla fine il sonno lo vinse, curando le ferite che il suo corpo e la sua anima avevano sofferto.

L'INGIUSTIZIA DELLA VITA

E

ra ancora buio quando Eragon si svegliò di soprassalto, ansante. La stanza era gelata; aveva la pelle d'oca sulle braccia e sulle spalle. Mancavano un paio d'ore all'alba: era il momento della notte in cui nulla si muove e la vita attende di essere sfiorata dai primi tiepidi raggi di

sole.

Il cuore gli martellava, gonfio di una terribile premonizione. Era come se il mondo fosse coperto da un sudario, con il lembo più oscuro disteso sulla sua stanza. Si alzò e si vestì. Angosciato, corse lungo il corridoio e si fermò allarmato quando vide la porta della camera di Garrow aperta, e tanta gente assiepata dentro.

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