Приключения Пиноккио / Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino - Карло Коллоди
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Ma oramai era tardi! Il mostro lo aveva raggiunto. Il mostro si bevve il povero burattino, e lo inghiottì con tanta violenza, che Pinocchio, cascando giù in corpo al Pescecane, battè un colpo da restarne sbalordito per un quarto d’ora.
Quando ritornò in sé, non sapeva raccapezzarsi, nemmeno lui, in che mondo si fosse. Intorno a sé c’era da ogni parte un gran buio: ma un buio così nero e profondo, che gli pareva di essere entrato col capo in un calamaio pieno d’inchiostro.
Stette in ascolto e non sentì nessun rumore: solamente di tanto in tanto sentiva battersi nel viso alcune grandi buffate di vento. Da principio non sapeva intendere da dove quel vento uscisse: ma poi capì che usciva dai polmoni del mostro. Perché bisogna sapere che il Pescecane soffriva moltissimo d’asma.
Pinocchio, sulle prime, s’ingegnò di farsi un po’ di coraggio: ma quand’ebbe la prova e la riprova di trovarsi chiuso in corpo al mostro marino, allora cominciò a piangere; e piangendo diceva:
– Aiuto! aiuto! Oh povero me! Non c’è nessuno che venga a salvarmi?
– Chi vuoi che ti salvi, disgraziato?… – disse in quel buio una voce fessa di chitarra scordata.
– Chi è che parla così? – domandò Pinocchio.
– Sono io! sono un povero Tonno, inghiottito dal Pescecane insieme con te. E tu che pesce sei?
– Io sono un burattino.
– E allora, se non sei un pesce, perché ti sei fatto inghiottire dal mostro?
– Non son io, che mi son fatto inghiottire: gli è lui che mi ha inghiottito! Ed ora che cosa dobbiamo fare qui al buio?…
– Rassegnarsi e aspettare che il Pescecane ci abbia digeriti tutti e due!..
– Ma io non voglio esser digerito! – urlò Pinocchio, ricominciando a piangere.
– Neppure io vorrei esser digerito! – soggiunse il Tonno – ma io sono abbastanza filosofo e mi consolo pensando che, quando si nasce Tonni, c’è più dignità a morir sott’acqua che sott’olio!..
– Scioccherie! – gridò Pinocchio.
– La mia è un’opinione – replicò il Tonno – e le opinioni, come dicono i Tonni politici, vanno rispettate!
– Insomma… io voglio andarmene di qui… io voglio fuggire…
– Fuggi, se ti riesce!..
– È molto grosso questo Pescecane che ci ha inghiottiti? – domandò il burattino.
– Figurati che il suo corpo è più lungo di un chilometro senza contare la coda.
Nel tempo che facevano questa conversazione al buio, parve a Pinocchio di veder lontan lontano una specie di chiarore.
– Che cosa sarà mai quel lumicino lontano lontano? – disse Pinocchio.
– Sarà qualche nostro compagno di sventura, che aspetterà come noi il momento di esser digerito!..
– Voglio andare a trovarlo. Non potrebbe darsi il caso che fosse qualche vecchio pesce capace d’insegnarmi la strada per fuggire?
– Io te l’auguro di cuore, caro burattino.
– Addio, Tonno.
– Addio, burattino: e buona fortuna.
– Dove ci rivedremo?…
– Chi lo sa?… È meglio non pensarci neppure!
35. Pinocchio ritrova in corpo al Pescecane… chi ritrova? Leggete questo capitolo e lo saprete
Pinocchio, appena che ebbe detto addio al suo buon amico Tonno, si mosse brancolando in mezzo a quel buio, e camminando a tastoni dentro il corpo del Pescecane, si avviò un passo dietro l’altro verso quel piccolo chiarore che vedeva baluginare lontano.
E nel camminare sentì che i suoi piedi sguazzavano in una pozzanghera d’acqua grassa.
E più andava avanti, e più il chiarore si faceva rilucente e distinto: finché, cammina cammina, alla fine arrivò: e quando fu arrivato… trovò una piccola tavola, con sopra una candela accesa infilata in una bottiglia di cristallo verde, e seduto a tavola un vecchiettino tutto bianco, il quale se ne stava lì biascicando alcuni pesciolini vivi, ma tanto vivi, che alle volte mentre li mangiava, gli scappavano perfino di bocca.
A quella vista il povero Pinocchio ebbe un’allegrezza grande e inaspettata. Voleva ridere, voleva piangere; e invece mugolava e balbettava delle parole sconclusionate. Finalmente gli riuscì di cacciar fuori un grido di gioia, e spalancando le braccia e gettandosi al collo del vecchietto, cominciò a urlare:
– Oh! babbino mio! finalmente vi ho ritrovato! Ora poi non vi lascio più, mai più, mai più!
– Dunque gli occhi mi dicono il vero? – replicò il vecchietto – Dunque tu se’ proprio il mi’ caro Pinocchio?
– Sì, sì, sono io, proprio io! E voi mi avete già perdonato, non è vero? Oh! babbino mio, come siete buono!.. e pensare che io, invece… Oh! ma se sapeste quante disgrazie mi son piovute sul capo e quante cose mi sono andate a traverso! Figuratevi che il giorno che voi, povero babbino, col vendere la vostra casacca, mi compraste l’Abbecedario per andare a scuola, io scappai a vedere i burattini, e il burattinaio mi voleva mettere sul fuoco perché gli cocessi il montone arrosto, che fu quello poi che mi dette cinque monete d’oro, perché le portassi a voi, ma io trovai la Volpe e il Gatto, che mi condussero all’Osteria del Gambero Rosso, dove mangiarono come lupi, e partito solo di notte incontrai gli assassini che si messero a corrermi dietro, e io via, e loro dietro, e io via, finché m’impiccarono a un ramo della Quercia Grande, dovecché la bella Bambina dai capelli turchini mi mandò a prendere con una carrozzina, e i medici, quando m’ebbero visitato, dissero subito: – “Se non è morto, è segno che è sempre vivo” – e allora mi scappò detta una bugia, e il naso cominciò a crescermi e non mi passava più dalla porta di camera, motivo per cui andai con la Volpe e col Gatto a sotterrare le quattro monete d’oro, che una l’avevo spesa all’Osteria, e il pappagallo si messe a ridere, e viceversa di duemila monete non trovai più nulla, la quale il Giudice quando seppe che ero stato derubato, mi fece subito mettere in prigione, per dare una soddisfazione ai ladri, di dove, col venir via, vidi un bel grappolo d’uva in un campo, che rimasi preso alla tagliola e il contadino di santa ragione mi messe il collare da cane perché facessi la guardia al pollaio, che riconobbe la mia innocenza e mi lasciò andare, e il Serpente, colla coda che gli fumava, cominciò a ridere e gli si strappò una vena sul petto, e così ritornai alla casa della bella Bambina, che era morta, e il Colombo vedendo che piangevo mi disse: “Ho visto il tu’ babbo che si fabbricava una barchettina per venirti a cercare”, e io gli dissi: “Oh! se avessi l’ali anch’io”, e lui mi disse: “Vuoi venire dal tuo babbo?”, e io gli dissi: “Magari! ma chi mi ci porta?”, e lui mi disse: “Ti ci porto io”, e io gli dissi: “Come?”, e lui mi disse: “Montami sulla groppa”, e così abbiamo volato tutta la notte, poi la mattina tutti i pescatori che guardavano verso il mare mi dissero: “C’è un pover’uomo in una barchetta che sta per affogare”, e io da lontano vi riconobbi subito, perché me lo diceva il cuore, e vi feci segno di tornare alla spiaggia…
– Ti riconobbi anch’io – disse Geppetto – e sarei volentieri tornato alla spiaggia: ma come fare? Il mare era grosso e un cavallone rovesciò la barchetta. Allora un orribile Pescecane che era lì vicino, appena che m’ebbe visto nell’acqua corse subito verso di me, e tirata fuori la lingua e m’inghiottì.
– E quant’è che siete chiuso qui dentro? – domandò Pinocchio.
– Da quel giorno in poi, saranno oramai due anni: due anni, Pinocchio mio, che mi son parsi due secoli!
– E come avete fatto a campare? E dove avete trovata la candela?
– Ora ti racconterò tutto. Devi dunque sapere che quella medesima burrasca, che rovesciò la mia barchetta, fece anche affondare un bastimento mercantile. I marinai si salvarono tutti, ma il bastimento calò a fondo e il solito Pescecane che quel giorno aveva un appetito eccellente, dopo avere inghiottito me, inghiottì anche il bastimento…
– Come? Lo inghiottì tutto in un boccone?… – domandò Pinocchio.
– Tutto in un boccone: e risputò solamente l’albero maestro[134], perché gli era rimasto fra i denti come una lisca. Per mia gran fortuna, quel bastimento era carico non solo di carne conservata in cassette di stagno, ma di biscotto, di bottiglie di vino, d’uva secca, di caffè, di zucchero, di candele e di scatole di fiammiferi di cera. Con tutta questa grazia di Dio ho potuto campare due anni: ma oggi sono agli ultimi sgoccioli: oggi non c’è più nulla, e questa candela, che vedi accesa, è l’ultima candela che mi sia rimasta…
– E dopo?…
– E dopo, caro mio, rimarremo tutt’e due al buio.
– Allora, babbino mio – disse Pinocchio – non c’è tempo da perdere. Bisogna pensar subito a fuggire…
– A fuggire?… e come?
– Scappando dalla bocca del Pesccane e gettandosi a nuoto in mare.
– Tu parli bene: ma io non so nuotare.
– E che importa?… Voi mi monterete a cavalluccio sulle spalle e io, che sono un buon nuotatore, vi porterò sano e salvo fino alla spiaggia.
– Illusioni, ragazzo mio! – replicò Geppetto. – Ti par egli possibile che un burattino, alto appena un metro, come sei tu, possa aver tanta forza da portarmi a nuoto sulle spalle?
– Provatevi e vedrete!
E senza dir altro, Pinocchio prese in mano la candela, e andando avanti per far lume, disse al suo babbo:
– Venite dietro a me, e non abbiate paura.
E così camminarono, e traversarono tutto il corpo e tutto lo stomaco del Pescecane. Ma giunti al punto dove cominciava la spaziosa gola del mostro, pensarono bene di fermarsi per dare un’occhiata e cogliere il momento opportuno alla fuga.
Ora bisogna sapere che il Pescecane, essendo molto vecchio e soffrendo d’asma e di palpitazione di cuore, era costretto a dormire a bocca aperta: per cui Pinocchio, affacciandosi al principio della gola e guardando in su, potè vedere al di fuori di quell’enorme bocca spalancata un bel pezzo di cielo stellato e un bellissimo lume di luna.
– Questo è il vero momento di scappare – bisbigliò allora voltandosi al suo babbo. – Il Pescecane dorme come un ghiro: il mare è tranquillo. Venite dunque, babbino, dietro a me, e fra poco saremo salvi.
Detto fatto, salirono su per la gola del mostro marino, e arrivati in quell’immensa bocca, cominciarono a camminare in punta di piedi sulla lingua. E già stavano per fare il gran salto e per gettarsi a nuoto nel mare, quando il Pescecane starnutì, e nello starnutire, dette uno scossone così violento, che Pinocchio e Geppetto si trovarono rimbalzati all’indietro e scaraventati novamente in fondo allo stomaco del mostro.
Nel grand’urto della caduta la candela si spense, e padre e figliolo rimasero al buio.
– E ora?… – domandò Pinocchio facendosi serio.
– Ora, ragazzo mio, siamo perduti.
– Perché perduti? Datemi la mano, babbino!
– Dove mi conduci?
– Dobbiamo ritentare la fuga.
Ciò detto, Pinocchio prese il suo babbo per la mano: e camminando sempre in punta di piedi, risalirono insieme su per la gola del mostro: poi traversarono tutta la lingua e scavalcarono i tre filari di denti.
Prima però di fare il gran salto, il burattino disse al suo babbo:
– Montatemi a cavalluccio sulle spalle e abbracciatemi forte forte. Al resto ci penso io.
Appena Geppetto si fu accomodato sulle spalle del figliolo, il bravo Pinocchio si gettò nell’acqua e cominciò a nuotare. Il mare era tranquillo come un olio: la luna splendeva in tutto il suo chiarore e il Pescecane seguitava a dormire di un sonno così profondo, che non l’avrebbe svegliato nemmeno una cannonata.
36. Finalmente Pinocchio cessa d’essere un burattino e diventa un ragazzo
Mentre Pinocchio nuotava per raggiungere la spiaggia, si accorse che il suo babbo tremava fitto fitto, come se al pover’uomo gli battesse la febbre.
Tremava di freddo o di paura? Chi lo sa?… Forse un po’ dell’uno e un po’ dell’altra. Ma Pinocchio, credendo che quel tremito fosse di paura, gli disse per confortarlo:
– Coraggio, babbo! Fra pochi minuti arriveremo a terra e saremo salvi.
– Ma dov’è questa spiaggia benedetta? – domandò il vecchietto. – Eccomi qui, che guardo da tutte le parti e non vedo altro che cielo e mare.
– Ma io vedo anche la spiaggia – disse il burattino. – Per vostra regola io sono come i gatti: ci vedo meglio di notte che di giorno.
Il povero Pinocchio faceva finta di esser di buon umore: ma invece… invece cominciava a scoraggiarsi: le forze gli scemavano, il suo respiro diventava grosso e affannoso… insomma non ne poteva più, e la spiaggia era sempre lontana.
Nuotò finché ebbe fiato: poi si voltò col capo verso Geppetto, e disse con parole interrotte:
– Babbo mio… aiutatevi… perché io muoio!..
E padre e figliolo erano oramai sul punto di affogare, quando udirono una voce di chitarra scordata che disse:
– Chi è che muore?
– Sono io e il mio povero babbo!
– Questa voce la riconosco! Tu sei Pinocchio!..
– Preciso: e tu?
– Io sono il Tonno, il tuo compagno di prigionia in corpo al Pescecane.
– E come hai fatto a scappare?
– Ho imitato il tuo esempio. Tu sei quello che mi hai insegnato la strada, e dopo te, sono fuggito anch’io.
– Tonno mio, tu capiti proprio a tempo! Ti prego per l’amore che porti ai Tonnini tuoi figlioli: aiutaci, o siamo perduti.
– Volentieri e con tutto il cuore. Attaccatevi tutti e due alla mia coda, e lasciatevi guidare. In quattro minuti vi condurrò alla riva.
Geppetto e Pinocchio accettarono subito l’invito: ma invece di attaccarsi alla coda, giudicarono più comodo di mettersi addirittura a sedere sulla groppa del Tonno.
– Siamo troppo pesi? – gli domandò Pinocchio.
– Pesi? Neanche per ombra. – rispose il Tonno.
Giunti alla riva, Pinocchio saltò a terra il primo, per aiutare il suo babbo a fare altrettanto: poi si voltò al Tonno, e con voce commossa gli disse:
– Amico mio, tu hai salvato il mio babbo! Dunque non ho parole per ringraziarti abbastanza! Permetti almeno che ti dia un bacio, in segno di riconoscenza eterna!..
Il Tonno cacciò il muso fuori dell’acqua, e Pinocchio gli posò un bacio sulla bocca. A questo tratto di spontanea e vivissima tenerezza, il povero Tonno, che non c’era avvezzo, si sentì talmente commosso, che vergognandosi a farsi veder piangere come un bambino, ricacciò il capo sott’acqua e sparì.
Allora Pinocchio, offrendo il suo braccio a Geppetto, che aveva appena il fiato di reggersi in piedi, gli disse:
– Appoggiatevi pure al mio braccio, caro babbino, e andiamo. Cammineremo pian pianino come le formicole, e quando saremo stanchi, ci riposeremo lungo la via.
– E dove dobbiamo andare? – domandò Geppetto.
– In cerca di una casa, dove ci diano per carità un boccon di pane e un po’ di paglia che ci serva da letto.
Non avevano ancora fatti cento passi, che videro seduti sul ciglione della strada due brutti ceffi, i quali stavano lì in atto di chiedere l’elemosina.
Erano il Gatto e la Volpe: ma non si riconoscevano più da quelli d’una volta. Figuratevi che il Gatto, a furia di fingersi cieco, aveva finito coll’accecare davvero: e la Volpe invecchiata, non aveva più nemmeno la coda. Quella trista ladracchiola, caduta nella più squallida miseria, si trovò costretta un bel giorno a vendere perfino la sua bellissima coda a un merciaio ambulante.