Приключения Пиноккио / Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino - Карло Коллоди
Шрифт:
Интервал:
Закладка:
– Povero grullerello! Ma non sai che diventerai da grande un bellissimo somaro?
– Chetati, Grillaccio del mal’augurio! – gridò Pinocchio.
Ma il Grillo invece di aversi a male di questa impertinenza, continuò con lo stesso tono di voce:
– E se non ti garba di andare a scuola, perché non impari almeno un mestiere, tanto da guadagnarti onestamente un pezzo di pane?
– Vuoi che te lo dica? – replicò Pinocchio, che cominciava a perdere la pazienza. – Fra i mestieri del mondo non ce n’è che uno solo[19] che veramente mi vada a genio[20].
– E questo mestiere sarebbe?
– Quello di mangiare, bere, dormire, divertirmi e fare dalla mattina alla sera la vita del vagabondo.
– Per tua regola – disse il Grillo-parlante con la sua solita calma – tutti quelli che fanno codesto mestiere, finiscono quasi sempre allo spedale o in prigione.
– Bada, Grillaccio del mal’augurio!..
– Povero Pinocchio! mi fai proprio compassione!..
– Perché ti faccio compassione?
– Perché sei un burattino e, quel che è peggio, perché hai la testa di legno.
A queste ultime parole, Pinocchio saltò su tutt’infuriato e preso di sul banco un martello di legno, lo scagliò contro il Grillo-parlante.
Forse non credeva nemmeno di colpirlo; ma lo colse per l’appunto nel capo, tanto che il povero Grillo ebbe appena il fiato di fare crì-crì-crì, e poi rimase lì stecchito e appiccicato alla parete.
5. Pinocchio ha fame e cerca un uovo per farsi una frittata; ma sul più bello, la frittata gli vola via dalla finestra
Intanto cominciò a farsi notte[21], e Pinocchio, ricordandosi che non aveva mangiato nulla, sentì un’uggiolina allo stomaco.
Ma l’appetito nei ragazzi cammina presto, e dopo pochi minuti, l’appetito diventò fame, e la fame si convertì in una fame da lupi.
Il povero Pinocchio corse subito al focolare, dove c’era una pentola che bolliva, e fece l’atto di scoperchiarla, per vedere che cosa ci fosse dentro: ma la pentola era dipinta sul muro. Immaginatevi come restò. Il suo naso, che era già lungo, gli diventò più lungo almeno quattro dita.
Allora si dette a correre per la stanza e a frugare per tutte le cassette e per tutti i ripostigli in cerca di un po’ di pane, magari un po’ di pan secco, un crosterello, un po’ di polenta muffita, una lisca di pesce, un nocciolo di ciliegia, insomma qualche cosa da masticare: ma non trovò nulla, proprio nulla.
E intanto la fame cresceva: e il povero Pinocchio non aveva altro sollievo che quello di sbadigliare, e faceva degli sbadigli così lunghi, che qualche volta la bocca gli arrivava fino agli orecchi..
Allora piangendo, diceva:
– Il Grillo-parlante aveva ragione. Ho fatto male a rivoltarmi al mio babbo e a fuggire di casa… Oh! che brutta malattia è la fame!
Quand’ecco che gli parve di vedere nel monte della spazzatura qualche cosa di tondo e di bianco, che somigliava a un uovo di gallina. Era un uovo davvero.
La gioia del burattino è impossibile descriverla. Si rigirava quest’uovo fra le mani, e lo toccava e lo baciava, e baciandolo diceva:
– E ora come dovrò cuocerlo? Ne farò una frittata!.. No, è meglio cuocerlo nel piatto!.. O non sarebbe più saporito se lo friggessi in padella? No, la più lesta di tutte è di cuocerlo nel piatto o nel tegamino: ho troppo voglia di mangiarmelo!
Detto fatto, pose un tegamino sopra un caldano pieno di brace accesa: messe nel tegamino, invece d’olio o di burro, un po’ d’acqua: e quando l’acqua principiò a fumare, tac!.. spezzò il guscio dell’uovo.
Ma invece della chiara e del torlo scappò fuori un pulcino tutto allegro e complimentoso, il quale facendo una bella riverenza disse:
– Mille grazie, signor Pinocchio, d’avermi risparmiata la fatica di rompere il guscio! Arrivedella, stia bene e tanti saluti a casa!
Ciò detto, distese le ali, e se ne volò via.
Il povero burattino rimase lì, come incantato, cogli occhi fissi, colla bocca aperta e coi gusci dell’uovo in mano. Riavutosi, peraltro, dal primo sbigottimento, cominciò a piangere, e piangendo diceva:
– Eppure il Grillo-parlante aveva ragione! Se non fossi scappato di casa e se il mio babbo fosse qui, ora non mi troverei a morire di fame! Oh! che brutta malattia è la fame!..
E perché il corpo gli seguitava a brontolare più che mai[22], e non sapeva come fare a chetarlo, pensò di uscir di casa e di dare una scappata al paesello vicino, nella speranza di trovare qualche persona caritatevole, che gli facesse l’elemosina di un po’ di pane.
6. Pinocchio si addormenta coi piedi sul caldano, e la mattina dopo si sveglia coi piedi tutti bruciati
Per l’appunto[23] era una notte d’inferno. Tonava forte forte, lampeggiava come se il cielo pigliasse fuoco, e un ventaccio freddo e strapazzone, fischiando rabbiosamente e sollevando un immenso nuvolo di polvere, faceva stridere e cigolare tutti gli alberi della campagna.
Pinocchio aveva una gran paura dei tuoni e dei lampi: se non che la fame era più forte della paura: motivo per cui accostò l’uscio di casa, e presa la carriera, in un centinaio di salti arrivò fino al paese, con la lingua fuori e con il fiato grosso.
Ma trovò tutto buio e tutto deserto. Le botteghe erano chiuse; le porte di casa chiuse; le finestre chiuse. Pareva il paese dei morti.
Allora Pinocchio si attaccò al campanello d’una casa, e cominciò a sonare a distesa, dicendo dentro di sé:
– Qualcuno si affaccerà.
Difatti si affacciò un vecchino, col berretto da notte in capo, il quale gridò tutto stizzito:
– Che cosa volete a quest’ora?
– Che mi fareste il piacere di darmi un po’ di pane?
– Aspettami costì che torno subito, – rispose il vecchino, credendo di avere da fare con qualcuno di quei ragazzacci che si divertono di notte a sonare i campanelli delle case, per molestare la gente per bene[24].
Dopo mezzo minuto la finestra si riaprì, e la voce del solito vecchino gridò a Pinocchio:
– Fatti sotto e para il cappello.
Pinocchio si levò subito il suo cappelluccio; ma mentre faceva l’atto di pararlo, sentì pioversi addosso un’enorme catinella d’acqua che lo annaffiò tutto dalla testa ai piedi, come se fosse un vaso di geranio appassito.
Tornò a casa bagnato come un pulcino e rifinito dalla stanchezza e dalla fame: e perché non aveva più forza da reggersi ritto, si pose a sedere, appoggiando i piedi fradici sopra un caldano pieno di brace accesa.
E lì si addormentò; e nel dormire, i piedi che erano di legno gli presero fuoco, e adagio adagio gli si carbonizzarono e diventarono cenere.
E Pinocchio seguitava a dormire e a russare, come se i suoi piedi fossero quelli d’un altro. Finalmente sul far del giorno[25] si svegliò, perché qualcuno aveva bussato alla porta.
– Chi è? – domandò sbadigliando e stropicciandosi gli occhi.
– Sono io! – rispose una voce.
Quella voce era la voce di Geppetto.
7. Geppetto torna a casa, e dà al burattino la colazione che il pover’uomo aveva portata per sé
Il povero Pinocchio, che aveva sempre gli occhi fra il sonno, non s’era ancora avvisto dei piedi che gli si erano tutti bruciati: per cui appena sentì la voce di suo padre, schizzò giù dallo sgabello per correre a tirare il paletto; ma invece, dopo due o tre traballoni, cadde di picchio tutto lungo disteso sul pavimento.
– Aprimi! – intanto gridava Geppetto.
– Babbo mio, non posso – rispondeva il burattino piangendo.
– Perché non puoi?
– Perché mi hanno mangiato i piedi.
– E chi te li ha mangiati?
– Il gatto – disse Pinocchio, vedendo il gatto che colle zampe davanti si divertiva a far ballare alcuni trucioli di legno.
– Aprimi, ti dico! – ripetè Geppetto – se no, quando vengo in casa, il gatto te lo do io!
– Non posso star ritto, credetelo. Oh! povero me! povero me, che mi toccherà a camminare coi ginocchi per tutta la vita!..
Geppetto arrampicatosi su per il muro, entrò in casa dalla finestra.
Quando vide il suo Pinocchio sdraiato in terra e rimasto senza piedi davvero, allora sentì intenerirsi; e presolo subito in collo, si dette a baciarlo e a fargli mille moine, e gli disse singhiozzando:
– Pinocchiuccio mio! Com’è che ti sei bruciato i piedi?
– Non lo so, babbo, ma credetelo che è stata una notte d’inferno. Tonava, e io avevo una gran fame, e allora il Grillo-parlante mi disse: “Ti sta bene: sei stato cattivo, e te lo meriti” e io gli dissi: “Bada, Grillo!..” e lui mi disse: “Tu sei un burattino e hai la testa di legno” e io gli tirai un manico di martello, e lui morì, ma la colpa fu sua, perché io non volevo ammazzarlo, prova ne sia che messi un tegamino sulla brace accesa del caldano, ma il pulcino scappò fuori e disse: “Arrivedella… e tanti saluti a casa.” E la fame cresceva sempre, motivo per cui quel vecchino col berretto da notte, affacciandosi alla finestra mi disse: “Fatti sotto e para il cappello” e io con quella catinellata d’acqua sul capo, perché il chiedere un po’ di pane non è vergogna, non è vero? me ne tornai subito a casa, e perché avevo sempre una gran fame, messi i piedi sul caldano per rasciugarmi, e voi siete tornato, e me li sono trovati bruciati, e intanto la fame l’ho sempre e i piedi non li ho più!
E il povero Pinocchio cominciò a piangere e a berciare.
Geppetto tirò fuori di tasca tre pere, e porgendogliele, disse:
– Queste tre pere erano la mia colazione: ma io te le do volentieri. Mangiale, e buon pro ti faccia[26].
– Se volete che le mangi, fatemi il piacere di sbucciarle.
– Sbucciarle? – replicò Geppetto meravigliato. – Non avrei mai creduto, ragazzo mio, che tu fossi così schizzinoso di palato. Male! In questo mondo, fin da bambini, bisogna avvezzarsi abboccati e a saper mangiar di tutto, perché non si sa mai quel che ci può capitare. I casi son tanti!..
– Voi direte bene – soggiunse Pinocchio – ma io non mangerò mai una frutta, che non sia sbucciata. Le bucce non le posso soffrire.
E quel buon uomo di Geppetto, cavato fuori un coltellino, e sbucciò le tre pere, e pose tutte le bucce sopra un angolo della tavola.
Quando Pinocchio in due bocconi ebbe mangiata la prima pera, fece l’atto di buttar via il torsolo: ma Geppetto gli trattenne il braccio, dicendogli:
– Non lo buttar via: tutto in questo mondo può far comodo[27].
– Ma io il torsolo non lo mangio davvero!.. – gridò il burattino.
– Chi lo sa! I casi son tanti!.. – ripetè Geppetto.
Fatto sta che i tre torsoli, invece di esser gettati fuori dalla finestra, vennero posati sull’angolo della tavola in compagnia delle bucce.
Mangiate le tre pere, Pinocchio fece un lunghissimo sbadiglio e disse:
– Ho dell’altra fame!
– Ma io, ragazzo mio, non ho più nulla da darti.
– Proprio nulla, nulla?
– Ci avrei soltanto queste bucce e questi torsoli di pera.
– Pazienza![28] – disse Pinocchio, – se non c’è altro, mangerò una buccia.
E cominciò a masticare. Da principio storse un po’ la bocca: ma poi una dietro l’altra, spolverò in un soffio[29] tutte le bucce: e dopo le bucce anche i torsoli, e quand’ebbe finito di mangiare ogni cosa, si batté tutto contento le mani sul corpo, e disse gongolando:
– Ora sì che sto bene!
– Vedi dunque – osservò Geppetto – che avevo ragione io quando ti dicevo che non bisogna avvezzarsi troppo delicati di palato. Caro mio, non si sa mai quel che ci può capitare in questo mondo. I casi son tanti!!..
8. Geppetto rifece i piedi a Pinocchio, e vende la propria casacca per comprargli l’Abbecedario
Il burattino, appena che si fu levata la fame, cominciò subito a piangere, perché voleva un paio di piedi nuovi.
Ma Geppetto, per punirlo della monelleria fatta, lo lasciò piangere e disperarsi per una mezza giornata: poi gli disse:
– E perché dovrei rifarti i piedi? Forse per vederti scappar di nuovo da casa tua?
– Vi prometto – disse il burattino – che da oggi in poi[30] sarò buono…
– Tutti i ragazzi – replicò Geppetto – quando vogliono ottenere qualcosa, dicono così.
– Vi prometto che anderò a scuola, studierò e mi farò onore…
– Tutti i ragazzi, quando vogliono ottenere qualcosa, ripetono la medesima storia.
– Ma io non sono come gli altri ragazzi! Io sono più buono di tutti. Vi prometto, babbo, che imparerò un’arte, e che sarò la consolazione e il bastone della vostra vecchiaia.
Geppetto che aveva gli occhi pieni di pianto e il cuore grosso dalla passione nel vedere il suo povero Pinocchio in quello stato compassionevole, non rispose altre parole: ma, presi in mano gli arnesi del mestiere e due pezzetti di legno stagionato, si pose a lavorare di grandissimo impegno.
E in meno d’un’ora, i piedi erano fatti: due piedini svelti e asciutti.
Allora Geppetto disse al burattino:
– Chiudi gli occhi e dormi!
E Pinocchio chiuse gli occhi e fece finta di dormire. E nel tempo che si fingeva addormentato, Geppetto con un po’ di colla sciolta in un guscio d’uovo gli appiccicò i due piedi al loro posto, e glieli appiccicò così bene, che non si vedeva nemmeno il segno dell’attaccatura.
Appena il burattino si accorse di avere i piedi, saltò giù dalla tavola dove stava disteso.
– Per ricompensarvi di quanto avete fatto per me – disse Pinocchio al suo babbo – voglio subito andare a scuola.
– Bravo ragazzo.
– Ma per andare a scuola ho bisogno d’un po’ di vestito.
Geppetto, che era povero e non aveva in tasca nemmeno un centesimo, gli fece allora un vestito di carta fiorita, un paio di scarpe di scorza d’albero e un berretto di midolla di pane.
Pinocchio corse subito a specchiarsi in una catinella piena d’acqua e rimase così contento di sé, che disse:
– Paio proprio un signore!
– Davvero, – replicò Geppetto – ma non è il vestito bello che fa il signore, ma è piuttosto il vestito pulito.
– A proposito, – soggiunse il burattino – per andare alla scuola mi manca sempre qualcosa.
– Cioè?
– Mi manca l’Abbecedario.
– Hai ragione: ma come si fa per averlo?
– È facilissimo: si va da un libraio e si compra.
– E i quattrini?
– Io non ce l’ho.
– Nemmeno io – soggiunse il vecchio, facendosi tristo.
E Pinocchio si fece tristo anche lui: perché la miseria, la intendono tutti: anche i ragazzi.
– Pazienza! – gridò Geppetto rizzandosi in piedi; e infilatasi la vecchia casacca di frustagno, uscì correndo di casa.
Dopo poco tornò: e quando tornò, aveva in mano l’Abbecedario per il figliolo, ma la casacca non l’aveva più. Il pover’uomo era in maniche di camicia[31], e fuori nevicava.