Paolini1-Eragon.doc - Volodyk
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È veloce, pensò Eragon.
Duellarono con impegno, ciascuno nel tentativo di indurre l'altro alla resa. Dopo uno scambio particolarmente accanito, Murtagh scoppiò a ridere. Non solo era evidente che nessuno dei due riusciva ad avere un vantaggio sull'altro, ma erano così uguali da stancarsi allo stesso ritmo. Riconoscendo la destrezza dell'altro con un mutuo sorriso, continuarono a duellare fino ad avere le braccia a pezzi e la schiena striata di sudore.
Alla fine Eragon dichiarò: «Basta così!» Murtagh si fermò di colpo e sedette a terra di schianto, ansante, Eragon lo imitò, stringendosi il petto per l'affanno. Nessuno dei duelli con Brom era stato così feroce.
Mentre riprendeva fiato, Murtagh esclamò: «Mi sorprendi! Ho studiato scherma tutta la vita, ma non ho mai incontrato nessuno come te. Se volessi, potresti diventare maestro di scherma del re.» «Anche tu non te la cavi male» osservò Eragon, ancora col fiato grosso. «L'uomo che ti ha insegnato. Tornac, potrebbe fare una fortuna se aprisse una scuola di scherma. Verrebbe gente da ogni parte di Alagasëia per imparare da lui.»
«È morto» disse Murtagh asciutto.
«Mi dispiace.»
E così allenarsi tutte le sere divenne un'abitudine per loro, una consuetudine che li aiutava a tenersi in forma come un paio di lame gemelle. Con il recupero della salute, Eragon riprese anche a esercitarci con la magia, Murtagh lo osservava incuriosito e ben presto rivelò una sorprendente conoscenza di come funzionava, anche se gli mancavano i dettagli precisi e non sapeva usarla. Ogni volta che Eragon si esercitava a parlare l'antica lingua, lui ascoltava in silenzio, chiedendo di tanto in tanto il significato di qualche parola.
Alla periferia di Gil'ead fermarono i cavalli fianco a fianco. Avevano impiegato quasi un mese per raggiungerla, durante il quale la primavera aveva cancellato le ultime tracce dell'inverno. Eragon si era sentito cambiare durante il viaggio: era diventato più forte e calmo. Pensava ancora a Brom e ne parlava con Saphira, ma la maggior parte del tempo cercava di non risvegliare dolorosi ricordi. Da lontano videro che la città era un luogo aspro e barbaro, tutto case di legno e cani feroci. Al centro sorgeva una fortezza di pietra costruita in modo approssimativo. L'aria era offuscata da volute di fumo azzurrognolo. Il luogo sembrava più una stazione di posta che una vera città. Cinque miglia dietro di essa si intravvedeva la nebbiosa sagoma del Lago Isenstar.
Decisero di accamparsi a due miglia dalla città, per sicurezza. Mentre la cena cuoceva lentamente sul fuoco, Murtagh disse: «Non ritengo opportuno che vada tu a Gil'ead.»
«Perché no? So travestirmi bene» disse Eragon. «e credo che quel Dormand voglia vedere. il gedwey ignasia per assicurarsi che io sia un vero Cavaliere.»
«Può darsi» disse Murtagh. «ma l'Impero vuole te molto più di quanto non voglia me. Se mi catturano, posso sempre provare a fuggire. Se catturano te, ti porteranno dal re, dove verrai condannato a morte lenta per tortura... a meno che non accetti di servirlo. Per giunta. Gil'ead è una delle più grandi guarnigioni dell'esercito: quelle che vedi non sono abitazioni civili, ma caserme. Entrare in città sarebbe come offrirti al re su un piatto d'argento.»
Eragon chiese a Saphira la sua opinione. La dragonessa gli avvolse la coda intorno alle gambe e si accoccolò accanto a lui. Non devi chiederlo a me; mi pare che il suo ragionamento fili. Ci sono cose che posso dirgli, cose che serviranno a convincere Dormand a dargli la sua fiducia. E poi ha ragione: se qualcuno deve rischiare di essere catturato, quello è Murtagh, perché riuscirebbe a sopravvivere.
Eragon si accigliò. Non mi piace l'idea di metterlo in pericolo a causa nostra. «D'accordo» disse a malincuore. «Ma se qualcosa va storto, ti vengo a cercare.»
Murtagh scoppiò a ridere. «L'ideale per una bella leggenda da tramandare: il Cavaliere solitario che sfidò l’intero esercito del re.» Ridacchiò ancora e si alzò. «C'è niente che dovrei sapere prima di andare?»
«Non possiamo riposare e aspettare domattina?» chiese Eragon, riluttante.
«Perché? Più a lungo restiamo qui, maggiori sono le probabilità che ci scoprano. Se questo Dormand è in grado di portarti dai Varden, allora dobbiamo trovarlo il più presto possibile. Nessuno di noi due dovrebbe restare attorno a Gil'ead per più di un paio di giorni.»
Le sue labbra proferiscono sagge parole, commentò Saphira. Disse a Eragon che cos'era necessario riferire a Dormand, e il ragazzo ripetè l'informazione a Murtagh.
«Bene» disse Murtagh, sistemandosi la spada al fianco. «A meno che non sorgano problemi, sarò di ritorno fra un paio d'ore. Mi raccomando, lasciami qualcosa da mangiare.» E con un cenno di saluto montò in sella a Tornac e si allontanò. Eragon si sedette accanto al fuoco, tamburellando nervosamente sul pomello di Zar'roc.
Le ore passarono, ma Murtagh non tornava. Eragon cominciò a camminare intorno al falò, Zar'roc in pugno, mentre Saphira scoccava continue occhiate a Gil'ead, sempre più ombrosa. Soltanto i suoi occhi si muovevano. Nessuno di loro dava voce alle proprie preoccupazioni, anche se Eragon si era lentamente preparato a partire, nel caso che un drappello di soldati fosse uscito dalla città diretto verso il campo.
Guarda, disse Saphira all'improvviso.
Eragon si volse di scatto verso Gil'ead, in allarme. Vide in lontananza un uomo a cavallo che si allontanava in fretta dalla città, galoppando verso l'accampamento. Non mi piace, disse, montando in groppa a Saphira. Tieniti pronta a volare.
Sono pronta a ben altro.
Mentre il cavaliere si avvicinava, Eragon riconobbe Murtagh, chino sul collo di Tornac. Nessuno pareva inseguirlo, eppure non rallentò l'andatura forsennata. Piombò nel campo e saltò giù dal destriero, sguainando la spada. «Che cosa succede?» chiese Eragon.
Murtagh era sconvolto. «Mi ha seguito qualcuno. da Gil'ead?»
«Non abbiamo visto nessuno.»
«Bene. Fammi prima mangiare, poi ti spiego. Sto morendo di fame.» Afferrò una scodella e divorò la cena di gusto. Dopo i primi rapidi bocconi, disse a bocca piena: «Dormand ha accettato di incontrarci domattina all'alba, fuori Gil'ead. Se sarà sicuro che sei davvero un Cavaliere e che non gli abbiamo teso una trappola, vi accompagnerà dai Varden.»
«Dove dovremmo incontrarci?» chiese Eragon. Murtagh indicò a est. «Su una piccola collina al di là della strada.»
«Adesso mi racconti che cosa è successo?»
Murtagh prese un'altra cucchiaiata dalla scodella. «Niente di straordinario, ma proprio per questo una cosa mortalmente pericolosa: qualcuno che mi conosce mi ha visto per la strada. L'unica cosa che potevo fare era fuggire, Ma era già troppo tardi: mi ha riconosciuto.»
Un evento increscioso, ma Eragon non riusciva a capire fino a che punto pericoloso. «Dato che non conosco questa persona, ti chiedo; lo dirà a qualcuno?»
Murtagh rise amaro. «Se lo conoscessi, non mi faresti questa domanda. Ha la bocca grande quanto un forno, e sempre aperta per vomitare qualunque cosa gli passi per la testa. La domanda non è se lo dirà a qualcuno, ma a chi lo dirà. Se la notizia raggiunge le orecchie sbagliate, saremo nei guai.» «Dubito che i soldati vengano a cercarti di notte» osservò Eragon. «Almeno possiamo contare sul fatto che saremo al sicuro fino a domattina, e a quel punto, se tutto va bene, saremo già in. viaggio con Dormand.»
Murtagh scosse il capo. «No, andrete solo voi. Come ho già detto, io dai Varden non vengo.» Eragon lo guardò, addolorato. Voleva che Murtagh restasse; erano diventati amici durante il viaggio, e non sopportava l'idea di separarsi da lui. Fece per protestare, ma Saphira gli diede un corpetto col muso e disse: Aspetta domattina. Adesso non è il momento.
D'accordo, disse lui, incupito. Parlarono finché le stelle furono alte nel cielo, poi si addormentarono mentre Saphira faceva il primo turno di guardia.
Eragon si destò due ore prima dell'alba, col palmo che gli formicolava. Tutto era tranquillo e silenzioso, ma qualcosa lo turbava, come un prurito della mente. Si legò Zar'roc alla cintura e si alzò. Attento a non fare nessun rumore. Saphira lo guardò curiosa, i grandi occhi splendenti. Cosa c'è? chiese.
Non lo so, rispose lui. Non vedeva niente di strano.
Saphira fiutò l'aria, sibilò e alzò di poco la testa. Sento odore di cavalli nelle vicinanze, ma non si muovono. Emanano un puzzo disgustoso che non riconosco.
Eragon strisciò accanto a Murtagh e lo chiamò posandogli una mano sulla spalla. Murtagh si svegliò di soprassalto, sfilò un pugnale da sotto le coperte, poi guardò Eragon con aria interrogativa. Eragon gli fece cenno di restare in silenzio e bisbigliò; «Ci sono dei cavalli qui intorno.» Murtagh sguainò la spada senza dire una parola. Si disposero ciascuno su un lato di Saphira, pronti a difendersi. Mentre aspettavano, la stella del mattino sorse a est. Uno scoiattolo squittì. Poi un improvviso ringhio alle spalle fece voltare Eragon di scatto, con la spada alta. Un grosso Urgali era comparso ai bordi del campo, impugnando un piccone dalla punta malevola. Da dove sono sbucati? Non abbiamo visto le loro tracce da nessuna parte! Pensò Eragon. L'Urgali ruggì e agitò la sua arma, ma non si slanciò all'attacco.
«Brisingr!» ululò Eragon, e lo colpì con la magia. Il muso del mostro si trasformò in una maschera di terrore mentre esplodeva in un lampo di luce azzurra. Il sangue schizzò addosso a Eragon, e una massa scura volò in aria. Alle sue spalle, Saphira lanciò un ululato di allarme e s'impennò, Eragon si voltò. Mentre era occupato con il primo Urgali, un gruppo di mostri gli si era avvicinato di lato. Ci sono cascato come uno sciocco!
L'acciaio cozzò con violenza mentre Murtagh attaccava gli Urgali. Eragon cercò di unirsi a lui, ma venne bloccato da altri quattro mostri. Il primo tentò un affondo di spada contro la sua spalla. Eragon schivò il colpo e uccise l'Urgali con la magia. Ne sgozzò un altro con Zar'roc, piroettò su se stesso e ne uccise un terzo colpendolo al cuore. Il quarto gli si avventò contro roteando una pesante mazza.
Eragon lo vide arrivare e cercò di alzare la spada per parare la mazza, ma fu di un secondo troppo lento. Mentre l'arma si abbatteva sulla sua testa, gridò: «Vola, Saphira!» Un lampo accecante, e perse i sensi.
DU SÙNDAVAR FREOHR
L
a prima cosa che Eragon notò fu che si trovava al caldo e all'asciutto, le guance premute contro una stoffa ruvida, e che non aveva le mani legate. Si mosse con cautela, ma passò qualche minuto prima che fosse in grado di alzarsi e studiare il luogo che lo ospitava.
Era seduto in una cella, su un tavolaccio di legno, stretto e gibboso. In una delle pareti, in alto, era incassata una finestrella chiusa da una grata. La porta di ferro aveva anch'essa una piccola grata nella metà più alta.
Quando si mosse, Eragon sentì strisce di sangue rappreso crepitargli sul volto. Gli ci volle un istante per ricordare che non era suo. La testa gli faceva un male terribile, come c'era da aspettarsi visto il colpo ricevuto, e la mente era stranamente annebbiata. Provò a usare la magia, ma non riusciva a concentrarsi abbastanza da ricordare qualche antica parola. Devono avermi drogato, decise infine. Si alzò con un gemito, avvertendo la mancanza del peso familiare di Zar'roc al suo fianco, e arrancò verso la finestrella. Se stava in punta di piedi, riusciva a vedere fuori. I suoi occhi impiegarono qualche secondo per abituarsi all'intensa luce esterna. La finestra era al livello del suolo. Una strada piena di gente indaffarata correva lungo la parete della sua cella, oltre la quale c'erano file di identiche costruzioni di legno.
Sentendosi debole, Eragon si lasciò scivolare a terra e fissò il pavimento con occhi vuoti. Quello che aveva visto fuori lo turbava, ma non sapeva perché. Maledicendo la scarsa lucidità mentale, reclinò indietro la testa e cercò di schiarirsi la mente. Un uomo entrò nella cella e appoggiò sul tavolaccio un vassoio con del cibo e una brocca d'acqua. Gentile da parte sua! pensò, sorridendo. Assaggiò un paio di cucchiaiate dell'insipida zuppa di cavoli e pane secco, ma riuscì a stento a trattenerla nello stomaco. Avrei voluto qualcosa di meglio, si lamentò, abbandonando il cucchiaio. All'improvviso capì. che cosa non andava. Sono stato catturato da un branco di Urgali, non da uomini! Come sono finito qui? La sua mente stordita si arrovellò senza venire a capo di niente. Archiviò la scoperta in attesa di quando avrebbe saputo che cosa farne.
Si sedette sullo scomodo giaciglio, lo sguardo perso nel vuoto. Qualche ora più tardi gli portarono di nuovo da mangiare. Proprio quando stavo cominciando ad avere fame, pensò a fatica. Questa volta riuscì a ingoiare il cibo senza farsi venire la nausea. Quando ebbe finito, ritenne opportuno concedersi un sonnellino. In fondo, lì c'era soltanto un letto: che cos'altro poteva fare? La sua mente prese ad andare alla deriva, mentre il sonno lo accoglieva nel suo abbraccio. Poi si udì il clangore metallico di un cancello che si apriva da qualche parte, seguito da uno scalpiccio pesante di stivali sul pavimento di pietra, Il rumore divenne sempre più forte finché non gli parve di avere in testa qualcuno che picchiava contro una pentola. Perché non mi lasciano in pace? borbottò fra sé. Una torpida curiosità prese il sopravvento sulla stanchezza, e si costrinse ad andare alla porta per spiare dalla finestrella, battendo le palpebre come un gufo.
Vide un ampio corridoio largo una decina di metri. Sulla parete opposta si aprivano celle identiche alla sua. Una colonna di soldati marciava nel corridoio, le spade sguainate. Indossavano armature identiche; i volti avevano la stessa espressione arcigna, e i piedi calpestavano il pavimento con la stessa meccanica precisione, senza mai perdere il ritmo. Il suono era ipnotico. Un'impressionante dimostrazione di potenza.
Eragon osservò i soldati finché non cominciò ad annoiarsi. Proprio allora notò un'interruzione nella colonna. Portata a braccia da due massicci individui c'era una donna priva di sensi. I lunghi capelli corvini le coprivano il viso, malgrado una fascia di pelle le cingesse la testa per tenere indietro le ciocche ondulate. Indossava un paio di pantaloni e una casacca di pelle. Intorno alla vita snella portava una cintura lucente, da cui pendeva sul fianco destro un fodero vuoto. Stivali alti al ginocchio le avvolgevano i polpacci e i piccoli piedi.