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Paolini1-Eragon.doc - Volodyk

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Ti piace così tanto? bofonchiò Eragon.

Sì.

Allora, quando tutto questo sarà finito, magari potremmo tornare... Si addormentò mentre ancora parlava. Saphira lo guardò con affetto e mugolò dolcemente mentre lui e Murtagh dormivano. . Era la mattina del quarto giorno da quando erano partiti da Gil'ead. Avevano già coperto trentacinque leghe.

Dormirono quel tanto che bastò loro a schiarirsi la mente e far riposare i cavalli. Non si vedevano soldati in lontananza, ma non per questo si concessero di rallentare il ritmo di marcia. Sapevano che l'Impero avrebbe continuato a cercarli finché non si fossero trovati molto oltre il raggio d'azione del re. Eragon disse: «I messaggeri devono aver portato a Galbatorix la notizia della mia fuga, e lui avrà già avvertito i Ra'zac. Ormai saranno di sicuro sulle nostre tracce.

Occorrerà loro del tempo per trovarci, anche volando, ma dobbiamo tenerci pronti a qualsiasi evenienza.»

E questa volta scopriranno che non bastano le catene a trattenermi, dichiarò Saphira. Murtagh si grattò il mento. «Spero che non siano in grado di seguirci dopo Taurida. Il Ramr è stato un ottimo espediente per seminare i nostri inseguitori; è verosimile che non riescano più a trovare le nostre tracce.»

«Speriamo davvero» disse Eragon osservando l'elfa. Le sue condizioni erano immutate; ancora non reagiva alle sue cure. «Ma in questo momento non mi sento di riporre fiducia nella fortuna. I Ra'zac potrebbero essere sulle nostre tracce anche in questo momento.»

Al tramonto raggiunsero le alture rocciose che la mattina avevano visto da lontano. Le rupi imponenti torreggiavano su di loro, proiettando ombre sottili. Attorno non c'erano dune per un raggio di mezzo miglio. Il calore aggredì Eragon come un colpo di maglio quando smontò da Fiammabianca e posò i piedi sul terreno arido e screpolato. Aveva nuca e viso bruciati; la sua pelle era bollente.

Dopo aver legato i cavalli dove potevano ruminare quel poco di erba che c'era, Murtagh accese un piccolo falò. «Quante miglia credi che abbiamo percorso?» chiese Eragon slegando l'elfa. «Non lo so!» sbottò Murtagh. Anche lui aveva la pelle arrossata, e gli occhi iniettati di sangue. Prese una pentola e lanciò un'imprecazione. «Non abbiamo abbastanza acqua. E i cavalli devono bere.»

Eragon si sentiva irritato quanto lui per il caldo e l'arsura, ma non perse il controllo. «Portami i cavalli.» Saphira scavò una buca per lui con i poderosi artigli; Eragon chiuse gli occhi e pronunciò l'incantesimo. Sebbene il terreno fosse arido, conteneva abbastanza umidità da nutrire la scarsa vegetazione e il ragazzo riuscì a riempire d'acqua la buca più di una volta.

Murtagh colmò gli otri via via che l'acqua si raccoglieva nella buca, poi si fece da parte per lasciar bere i cavalli. Gli animali assetati bevvero a barili. A Eragon toccò cercare l'acqua più in profondità per soddisfarli, e lo sforzo lo lasciò quasi senza più energie. Quando i cavalli furono satolli, disse a Saphira: Se devi bere, fallo adesso. Il collo della dragonessa lo aggirò come la spira di un serpente, e la grande testa azzurra affondò nella buca; ma Saphira bevve soltanto due lunghi sorsi, non di più. Prima di lasciare che l'acqua rifluisse nel suolo, Eragon ne bevve il più possibile, poi guardò le ultime gocce svanire nel terreno. Mantenere l'acqua in superficie si era rivelato più impegnativo del previsto. Almeno fa parte delle mie capacità, si disse, ripensando divertito a quale fatica immane gli era costata sollevare perfino un sassolino.

L'aria era gelida quando si alzarono, il giorno dopo. La sabbia aveva una sfumatura rosa nelle prime luci del mattino, e aleggiava una caligine grigiastra che nascondeva l'orizzonte. L'umore di Murtagh non era migliorato con la dormita, ed Eragon scoprì che anche il suo andava peggiorando rapidamente. Durante la colazione, domandò: «Credi che manchi molto alla fine del deserto?» . Gli occhi di Murtagh lampeggiarono di collera. «Ne stiamo attraversando una parte molto piccola, perciò immagino che ci vogliano ancora due o tre giorni.» «Ma abbiamo fatto tanta strada.» «D'accordo forse di meno! L'unica cosa che mi preme in questo momento è uscire dall'Hadarac il più in fretta possibile. Quello che stiamo facendo è già abbastanza duro: ci manca solo che cominciamo a contare ogni cinque minuti i granelli di sabbia calpestati.»

Finirono di mangiare, e poi Eragon andò dalTelfa. Dormiva un sonno profondo; sembrava un cadavere, se non fosse stato per il respiro regolare. «Dov'è la tua ferita?» sussurrò Eragon, scostandole una ciocca di capelli dal viso. «Come puoi dormire così e restare in vita?» L'immagine di lei, vigile e tesa nella cella, era ancora vivida nella sua memoria. Preoccupato, preparò l'elfa per il viaggio, poi sellò Fiammabianca e montò.

Mentre lasciavano il campo, all'orizzonte cominciarono a delinearsi delle sagome scure, indistinte nell'aria polverosa, Murtagh pensò che fossero colline distanti. Eragon non ne era convinto, ma non riusciva a scorgere altri dettagli.

Il dramma dell'elfa gli occupava la mente. Era sicuro di dover fare qualcosa per lei, altrimenti sarebbe morta: ma non sapeva che cosa. Saphira era preoccupata quanto lui. Ne parlarono per ore, ma nessuno di loro ne sapeva abbastanza di arti mediche da poter risolvere il problema. Intorno a mezzogiorno fecero una breve sosta. Quando ripresero il cammino, Eragon notò che la foschia si era diradata dalla mattina, e che le remote sagome scure apparivano più nitide,.Non, erano più confuse macchie violacee, ma grandi alture coperte di foreste dal profilo netto. L'aria sopra di loro era biancastra, come se fosse scomparso ogni colore dalla striscia di cielo che sovrastava le colline e si estende va per tutto l'orizzonte, Eragon osservò il paesaggio, perplesso, ma più cercava una spiegazione a quello che vedeva, più era confuso. Battè le palpebre e scosse la testa, pensando che fosse un'illusione ottica dovuta all'aria del deserto. Ma quando riaprì gli occhi, l'inquietante, incongruo spettacolo era ancora lì. Il biancore copriva metà del cielo davanti a loro. Certo che ci fosse qualcosa di terribilmente sbagliato, fece per indicarlo a Murtagh e Saphira, quando all'improvviso capì che cosa stava osservando.

Quelle che avevano scambiato per colline erano le pendici più basse di gigantesche montagne, vaste miglia e miglia. Tranne che per le fitte foreste che ne coprivano la base, le montagne erano interamente coperte di neve e ghiaccio. Era stato questo a far credere a Eragon che il cielo fosse bianco. Cercò di scorgerne i picchi, ma non erano visibili. Le montagne si stagliavano verso il cielo fino a scomparire alla vista. Valli strette e frastagliate, con le pareti che quasi si sfioravano, fendevano i loro fianchi come profonde ferite. Sembrava di essere davanti a una muraglia scabra e dentellata che collegava Alagasëia ai cieli.

Non hanno fine! pensò, stupefatto. Le storie che parlavano dei Monti Beor esaltavano sempre le loro dimensioni, ma lui aveva pensato che si trattasse di esagerazioni allo scopo di impreziosire i racconti. Ora, tuttavia, era costretto a riconoscerne l'autenticità. .

Saphira avvertì il suo stupore e seguì il suo sguardo. Non le ci vollero che pochi secondi per riconoscere le montagne per quello che erano. Mi sento di nuovo un cucciolo, qui. In confronto a loro, perfino io sono minuscola!

Dobbiamo essere vicini ai margini del deserto, disse Eragon. Ci sono voluti solo due giorni e già vediamo dall'altra parte!

Saphira volò in cerchio sopra le dune. Già, ma considerando la mole di quelle vette, potrebbero essere distanti ancora una cinquantina di leghe. È difficile calcolare le distanze davanti a qualcosa di così immenso. Non credi anche tu che sarebbero un nascondiglio perfetto per gli elfì o i Varden? Ci si potrebbe nascondere ben altro che gli elfì o i Varden, sentenziò Eragon. Intere nazioni potrebbero esistere in segreto lassù, nascoste all'Impero. Immagina di vivere con quei colossi che incombono su di te! Fece avvicinare Fiammabianca a Murtagh e indicò in lontananza, con un sogghigno.

«Cosa?» grugnì Murtagh, scrutando il territorio.

«Guarda meglio» lo esortò Eragon.

Murtagh osservò con attenzione l'orizzonte. Scrollò le spalle. «Cosa? Io non...» Le parole gli morirono sulle labbra, e la mascella minacciò di staccarglisi per lo stupore. Scosse la testa, mormorando: «È impossibile!» Strinse tanto gli occhi da ridurli a fessure. «Sapevo che i Monti Beor erano grandi, ma non mi aspettavo questi mostri!»

«Speriamo che gli animali che li abitano non siano proporzionati alle montagne» scherzò Eragon. Murtagh sorrise. «Perché non ci troviamo un bel posticino comodo e ci prendiamo qualche settimana di vacanza? Ne ho abbastanza di questa marcia forzata.»

«Anch'io non ce la faccio più» ammise Eragon. «ma non voglio fermarmi finché l'elfa non si riprende... o muore.»

«Non vedo come continuare il viaggio possa aiutarla» disse Murtagh, pensieroso. «Un buon letto le farà meglio che restarsene appesa tutto il giorno alla pancia di Saphira.»

Eragon si strinse nelle spalle. «Può darsi... Quando raggiungiamo le montagne, potrei portarla nel Surda: non è lontano. Lì troveremo sicuramente un guaritore che possa curarla; noi non possiamo.» Murtagh si schermò gli occhi con la mano e guardò le montagne. «Ne riparleremo in seguito. Per adesso il nostro obiettivo è raggiungere i Beor. Lì, se non altro, i Ra'zac avranno non pochi problemi a scovarci, e saremo al sicuro dall'Impero.»

Le ore passavano, ma i Monti Beor non sembravano avvicinarsi, anche se il paesaggio mostrava drastici cambiamenti. La sabbia si trasformò lentamente da una distesa di granelli rossicci a un terreno compatto, color crema. Al posto delle dune c'erano macchie irregolari di vegetazione e profondi solchi lasciati dalle alluvioni. Accolsero con sollievo una brezza fresca che dissipò il caldo torrido. I cavalli sentirono il cambiamento di clima e si lanciarono al galoppo.

Quando la sera oscurò il sole, le colline ai piedi dei monti erano a solo un miglio di distanza. Branchi di gazzèlle saltellavano fra prati folti d'erba alta. Eragon colse Saphira che le adocchiava famelica. Si accamparono vicino a un corso d'acqua, lieti di essere usciti dalle grinfie del Deserto di Hadarac.

IL PERCORSO SVELATO

S

finiti e smunti, ma pronti ad aprirsi in grandi sorrisi di trionfo, si sedettero intorno al fuoco congratulandosi a vicenda. Saphira ruggì di gioia, spaventando i cavalli. Eragon fissava le fiamme. Era orgoglioso di aver coperto sessanta leghe in cinque giorni. Era un'impresa

notevole, perfino per un cavaliere in grado di cambiare cavalcatura regolarmente. Sono fuori dall'Impero. Era un pensiero strano. Era nato nell'Impero, era sempre vissuto sotto il regno di Galbatorix, aveva perso la famiglia e i suoi migliori amici per colpa dei suoi servi, ed era stato più volte sul punto di morire nel suo dominio. Adesso era libero. Lui e Saphira non sarebbero più stati costretti a seminare soldati, evitare le città o nascondere la loro identità. Era una constatazione dal sapore agrodolce, perché gli costava la perdita del suo mondo.

Alzò gli occhi alle stelle che luccicavano nel firmamento. E anche se il pensiero di costruirsi una casa nella sicurezza dell'isolamento lo attirava, era stato testimone di troppe atrocità commesse in nome di Galbatorix, dall'omicidio alla schiavitù, per volgere le spalle all'Impero. Non era più soltanto una questione di vendetta per la morte di Garrow e di Brom: da Cavaliere, era suo dovere difendere coloro che non avevano la forza di resistere alla tirannia di Galbatorix.

Con un sospiro abbandonò le sue meditazioni e guardò l'elfa distesa accanto a Saphira. La luce arancione del falò dava al suo volto una calda morbidezza. Piccole ombre le danzavano sotto gli zigomi. Piano piano nella sua mente andò formandosi un'idea.

Eragon poteva sentire i pensieri delle persone e degli animali - e comunicare con loro in quella maniera, se voleva - ma era una cosa che aveva fatto di rado, tranne che con Saphira. Ricordava sempre rammonimento di Brom: non violare la mente di una persona se non è assolutamente necessario. Salvo quell'unica volta in cui aveva tentato di sondare la coscienza di Murtagh, Eragon si era trattenuto dal farlo.

Ora, tuttavia, cominciava a chiedersi se fosse possibile parlare all'elfa immersa in quel sonno indefinito. Potrei riuscire a capire dai suoi ricordi perché rimane così remota. Ma se poi si riprende, mi perdonerà per questa intrusione? Comunque finisca, devo tentare. È in queste condizioni da quasi una settimana. Senza parlare delle sue intenzioni né con Murtagh né con Saphira, s'inginocchiò al fianco dell'elfa e le posò il palmo sulla fronte.

Eragon chiuse gli occhi ed estese un filamento di pensiero, come per saggiare il terreno, verso la mente dell'elfa. La trovò senza difficoltà. Non era confusa o piena di dolore cóme si era aspettato, ma lucida e cristallina, come una nota emessa da una campana di vetro. All'improvviso un pugnale di ghiaccio gli trapassò il cervello. Un dolore lancinante gli esplose dietro gli occhi, schizzando spruzzi di colore. Provò a sottrarsi all'attacco, ma si ritrovò prigioniero in una morsa di ferro.. Eragon lottò come un disperato, facendo ricorso a ogni difesa che riusciva a immaginare. Il pugnale lo colpì di nuovo. Allora innalzò freneticamente le proprie barriere per attutire l'impatto. Il dolore fu meno lacerante della prima volta, ma gli fece perdere la concentrazione. L'elfa ne approfittò per schiacciare le sue difese.

Una coltre soffocante lo avvolse, spegnendogli i pensieri. La forza soverchiante lentamente si contrasse, spremendo da lui la vita goccia a goccia, anche se tentava di resistere, perché non voleva arrendersi.

L'elfa strinse la morsa ancora più forte, per estinguerlo come una candela. Disperato, Eragon gridò nell'antica lingua: «Eka ai fricai un Shur'tugal!» "Sono un Cavaliere e un amico!" L'abbraccio mortale non si allentò, ma la stretta si fermò e da lei emanò sorpresa.

Un secondo dopo seguì il sospetto, ma Eragon sapeva che lei gli avrebbe creduto: non poteva mentire nell'antica lingua. Tuttavia, per quanto avesse detto di essere un amico, questo non significava che non volesse farle del male. Per quanto ne sapeva lei, Eragon si riteneva un amico, e ciò rendeva vera l'affermazione dal suo punto di vista, ma lei poteva non considerarlo tale. L'antica lingua ha i suoi limiti, pensò Eragon, sperando che l'elfa fosse abbastanza curiosa da correre il rischio di lasciarlo libero.

Lo fu. La pressione si allentò, e le barriere intorno alla mente di lei si abbassarono esitanti. L'elfa permise che i loro pensieri si toccassero con circospezione, come due animali selvaggi quando s'incontrano per la prima volta. Un brivido freddo corse lungo la spina dorsale di Eragon. La mente di lei era remota. Era vasta e potente, carica di ricordi di innumerevoli anni. Pensieri oscuri aleggiavano lontani dalla vista e dal contatto; manufatti della sua razza lo fecero rabbrividire quando gli sfiorarono la coscienza: Eppure attraverso tutte le sensazioni scintillava una melodia di selvaggia, ipnotica bellezza, che incarnava la sua identità,

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