Paolini1-Eragon.doc - Volodyk
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«Sopravviverà, ed è questo che conta» rispose gelido l'uomo calvo.
Il nano sbuffò, seccato, poi chiese: «Cos'hai trovato?»
Silenzio.
«Allora, ci possiamo fidare o no?»
Le parole giunsero stentate. «Lui... non è vostro nemico.» In tutta la stanza echeggiarono sospiri di sollievo.
Eragon socchiuse le palpebre tremanti e provò ad alzarsi di scatto. «Sta' calmo» disse Orik, e gli cinse le spalle con un braccio per aiutarlo a mettersi in piedi. Eragon ondeggiò incerto sulle gambe, guardando in tralice l'uomo calvo, Saphira emise un sordo brontolio di gola.
L'uomo calvo li ignorò. Si rivolse a Murtagh, che era ancora sotto la minaccia della spada. «Adesso tocca a te.»
Murtagh si irrigidì e scosse il capo. La spada gli graffiò il collo e un rivoletto di sangue gli macchiò la pelle. «No.»
«Non ti proteggeremo, se ti rifiuti.»
«Eragon è stato dichiarato degno di fiducia, perciò non puoi influenzarmi minacciando di ucciderlo. Capisci bene che qualunque cosa tu dica o faccia, non servirà a costringermi ad aprire la mente.» L'uomo calvo arricciò le labbra e inarcò quello che sarebbe stato un sopracciglio, se ne avesse avuto uno. «E la tua vita? Posso sempre minacciare quella.»
«Mi è del tutto indifferente» rispose Murtagh ostinato, con una tale forza nella voce da non lasciare ombra di dubbio sulla sua sincerità.
L'uomo calvo esplose. «Non hai scelta!» Si avvicinò a Murtagh e gli posò il palmo sulla fronte, premendo le dita aperte per tenergli ferma la testa. Murtagh si irrigidì, il volto duro come il ferro, i pugni stretti, i muscoli del collo gonfi. Era chiaro che si stava opponendo all'attacco con tutte le sue forze. L'uomo calvo scoprì i denti per la rabbia e la delusione; le sue dita affondarono senza pietà nella carne di Murtagh.
Eragon prese ad agitarsi, ben conoscendo la lotta che si svolgeva fra i due. Non puoi aiutarlo? chiese a Saphira.
No, rispose lei in tono sommesso. Non permette a nessuno di entrargli nella mente. Orik si accigliò nel guardare i contendenti. « Ilf carnz orodum» mormorò, poi si fece avanti e gridò: «Basta!» Afferrò la mano dell'uomo calvo e la scostò dalla fronte di Murtagh con una forza sproporzionata rispetto alla sua taglia.
L'uomo calvo indietreggiò barcollando, poi si rivolse a Orik con rabbia. «Come osi?» ululò. «Hai criticato la mia autorità, hai aperto i cancelli senza permesso, e ora questo! Non sei altro che un insolente e un traditore. Credi che il tuo re continuerà a proteggerti, quando lo saprà?» Orik non si lasciò intimorire. «Tu li avresti lasciati morire! Se avessi aspettato solo un altro istante, gli Urgali li avrebbero uccisi.» Indicò Murtàgh, che ansimava. «Non abbiamo il diritto di torturarlo per estorcergli informazioni! Ajihad non approverebbe. Non dopo che hai esaminato il Cavaliere e lo hai trovato degno di fiducia. E ricorda, ci hanno riportato Arya.»
«Allora permetteresti loro di entrare senza esame? Sei così stupido da metterci tutti, a rischio?» disse l'uomo calvo, schiumando di collera a stento repressa; sembrava pronto a balzare alla gola del nano.
«Sa usare la magia?»
«Cosa...»
«Sa usare la magia?» ruggì Orik. La sua voce roca echeggiò per tutta la sala. L'uomo calvo perse di colpo ogni espressione. Si intrecciò le mani dietro la schiena.
«No.»
«Allora di che cosa hai paura? È impossibile che fugga, e non può fare niente di male con tutti noi qui, soprattutto se i tuoi poteri sono così grandi come sostieni. E comunque non ascoltare me; chiedi a Ajihad cosa vuole.»
L'uomo calvo fissò Orik per un momento, con espressione indecifrabile, poi alzò gli occhi al soffitto e li chiuse. Le sue spalle assunsero una rigidezza innaturale, mentre le sue labbra si muovevano senza emettere suono. Rughe profonde gli solcarono la pallida pelle della fronte, e le sue dita si strinsero, come se stesse strangolando un nemico invisibile. Rimase così per parecchi minuti, assorto in una muta conversazione.
Quando aprì gli occhi, ignorò deliberatamente Orik per ordinare brusco ai guerrieri: «Uscite subito!» Mentre gli uomini abbandonavano la sala in ranghi ordinati, si rivolse a Eragon e disse in tono gelido: «Poiché non sono riuscito a completare il mio esame, tu e... il tuo amico resterete qui, stanotte. Se cerca di fuggire, verrà ucciso.» Detto questo, si voltò e usci dalla stanza, il cranio rasato che scintillava pallido alla luce delle lanterne.
«Grazie» mormorò Eragon a Orik.
Il nano borbottò una frase di assenso. «Farò in modo che vi portino da mangiare» disse. Mormorò una serie di parole sottovoce, poi uscì, scuotendo il capo. Il chiavistello scattò di nuovo. Eragon si sedette, stranamente stordito dopo l'eccitazione della giornata e la marcia forzata. Aveva le palpebre pesanti. Saphira si accovacciò accanto a lui. Dobbiamo stare attenti. Sembra che qui abbiamo tanti nemici quanti nell'Impero. Eragon annuì, troppo stanco per parlare. Murtagh, gli occhi vitrei e vuoti, fece scivolare la schiena contro la parete e si sedette. Teneva la manica della camicia premuta contro il taglio sul collo, per fermare il sangue. «Stai bene?» gli chiese Eragon. Murtagh annuì stancamente. ««È riuscito a sapere qualcosa da te?» «No.»
«Come hai fatto a resistergli? È molto forte.»
«Sono... sono stato ben addestrato.» Nella sua voce risuonò una nota amara.
Li avvolse una cappa di silenzio. Lo sguardo di Eragon indugiò su ciascuna delle lanterne appese negli angoli. Lasciò vagare i pensieri, finché non si riscosse per dire: «Non gli ho permesso di sapere chi sei.»
Murtagh parve sollevato. Chinò il capo e disse: «Ti ringrazio di non avermi tradito.» «Non ti hanno riconosciuto.»
«No.»
«Ma sostieni ancora di essere il figlio di Morzan?» «Sì» sospirò Murtagh.
Eragon fece per parlare, ma si fermò quando sentì del liquido caldo piovergli su una mano. Abbassò lo sguardo e rimase sbalordito nel vedere una grossa goccia di sangue scuro colargli sulla pelle. Era caduta dall'ala di Saphira. Dimenticavo che sei ferita! esclamò, alzandosi con uno sforzo. Devo curarti.
Sta' attento. È facile commettere errori, quando si è così stanchi.
Lo so. Saphira aprì una delle ali e la distese sul pavimento. Mentre Murtagh lo osservava, Eragon fece scorrere le mani sulla calda membrana azzurra, dicendo: «Waise heill» ogni volta che scopriva un foro di freccia. Per loro fortuna, tutte le ferite furono abbastanza facili da rimarginare, perfino quelle sul muso.
Completata l'opera, Eragon si abbandonò contro il fianco di Saphira, respirando affannoso. Sentiva il grande cuore della dragonessa pulsare con il costante battito della vita. «Spero che facciano in fretta a portarci il cibo» disse Murtagh.
Eragon scrollò le spalle; era troppo stanco per avere . fame. Incrociò le braccia, avvertendo la mancanza del peso di Zar'roc al suo fianco. «Perché sei qui?»
«Che cosa?»
«Se sei davvero il figlio di Morzan, come mai Galbatorix ti permette di gironzolare libero per tutta l'Alagasëia? Come hai fatto a trovare i Ra'zac da solo? Perché non ho mai sentito dire che i Rinnegati hanno avuto dei figli? E che cosa ci fai qui?» La sua voce era cresciuta d'intensità fino a diventare quasi un grido.
Murtagh si passò le mani sul viso. «È una lunga storia.»
«Non abbiamo impegni» ribattè Eragon.
«È troppo tardi per parlare.»
«Probabilmente domani non ne avremo il tempo.»
Murtagh si abbracciò le gambe e appoggiò il mento sulle ginocchia, dondolando avanti e indietro, gli occhi fissi sul pavimento di marmo. «Non è...» cominciò, ma s'interruppe. «D'accordo, ma non ho intenzione di fermarmi... perciò mettiti comodo. La mia storia non è affatto breve.» Eragon si sistemò meglio contro il fianco di Saphira e annuì, Saphira guardava entrambi con grande interesse. La prima frase di Murtagh fu esitante, ma via via la sua voce assunse forza e sicurezza. «Per quanto ne so... io sono l'unico figlio dei Tredici Servi, o Rinnegati, come sono anche chiamati. Potrebbero essercene degli altri, poiché i Tredici sono sempre stati abili a nascondere quello che volevano, ma ne dubito, per ragioni che ti spiegherò in seguito.
«I miei genitori si conobbero in un piccolo villaggio, non ho mai saputo quale, mentre mio padre era in viaggio per conto del re. Morzan si mostrò gentile con mia madre, senza dubbio.un inganno per conquistare la sua fiducia, e quando lui ripartì, lei andò con lui. Viaggiarono insieme per qualche tempo e com'è nella natura di queste cose, mia madre finì per innamorarsi di lui, Morzan si compiacque di scoprirlo, non solo perché gli dava l'opportunità di tormentarla, ma soprattutto perché riconobbe il vantaggio di avere una persona al suo servizio che non lo avrebbe mai tradito. «Così, quando Morzan tornò alla corte di Galbatorix, mia madre divenne lo strumento dei suoi complotti. La usava per portare messaggi segreti, e le insegnò qualche rudimento di magia, che la aiutava a non farsi scoprire e in qualche occasione a ottenere informazioni dalla gente. Lui faceva del suo meglio per proteggerla dal resto dei Tredici, non perché provasse dei sentimenti per lei, ma perché loro l'avrebbero usata contro di lui, se ne avessero avuta l'occasione. Per tre anni le cose andarono avanti così, finché mia madre non rimase incinta.»
Murtagh fece una pausa, inanellandosi una ciocca di capelli intomo al dito. Poi riprese in tono serrato: «Mio padre, se non altro, era un uomo molto astuto. Sapeva che la gravidanza avrebbe messo in pericolo sia lui che mia madre, per non parlare del bambino, ossia me. E così una notte la fece sparire di nascosto dal palazzo e la portò nel suo castello. Una volta giunti sani e salvi, evocò potenti incantesimi per impedire a chiunque, tranne pochi servi fidati, di entrare nella sua proprietà. In questo modo la gravidanza rimase segreta a tutti, tranne che a Galbatorix.
«Galbatorix conosceva i più intimi dettagli delle vite dei Tredici: le loro tresche, le loro dispute e, cosa più importante, i loro pensieri. Si divertiva a vederli litigare fra loro e spesso parteggiava per l'uno o per l'altro, solo per il gusto della battaglia. Ma per qualche ragione non rivelò mai la mia esistenza.
«Non appena venni alla luce, fui affidato a una balia perché mia madre potesse tornare al fianco di Morzan. Non aveva scelta. Morzan le permetteva di venirmi a fare visita a mesi alterni, ma per il resto eravamo separati. Passarono altri tre anni, durante i quali Morzan mi procurò... la cicatrice sulla schiena.» Murtagh tacque per qualche istante, il volto corrucciato.
«Sarei cresciuto in questo modo se Morzan non fosse stato chiamato a cercare l'uovo di Saphira. Non appena partì, mia madre, che era rimasta a palazzo, sparì. Nessuno sa dove andò, né perché. Il re mandò i suoi uomini a cercarla, ma nessuno riuscì a trovarla: senza dubbio fu grazie all'addestramento che lei aveva ricevuto da Morzan.
«All'epoca della mia nascita, soltanto cinque dei Tredici erano ancora in vita. Quando Morzan partì, il numero si era ridotto a tre; quando alla fine affrontò Bfom a Gil'ead, era l'unico rimasto. I Rinnegati trovarono la morte sotto diverse forme: suicidio, agguati, abuso di magia... ma perlopiù fu opera dei Varden. Il re fu sconvolto da una collera terribile per la loro perdita.
«Tuttavia, prima che la notizia della morte di Morzan e degli altri giungesse alle sue orecchie, mia madre tornò. Erano passati molti mesi da quando era scomparsa. Stava male, come se soffrisse di una grave malattia, e col tempo peggiorò. Nel giro di due settimane morì.»
«E poi che cosa accadde?» incalzò Eragon.
Murtagh si strinse nelle spalle. «Sono cresciuto. Il re mi portò a palazzo e diede disposizioni per la mia educazione. A parte questo, mi lasciò in pace.»
«Allora perché te ne andasti?»
Murtagh proruppe in una risata amara. «Fuggii, per meglio dire. Il giorno del mio diciottesimo compleanno, il re mi mandò a chiamare nei suoi appartamenti per una cena. L'invito mi sorprese, perché mi ero sempre tenuto in disparte dalla vita di corte e lo avevo incontrato di rado. Avevamo parlato qualche volta, ma sempre alla presenza degli altri nobili.
«Accettai l'invito, naturalmente, perché sapevo che sarebbe stato poco saggio rifiutare. La cena fu sontuosa, ma per tutto il tempo i suoi occhi neri non si staccarono da me. Il suo sguardo èra inquietante; sembrava che cercasse un segreto sul mio volto. Non sapevo come comportarmi e feci del mio meglio per imbastire una conversazione affabile, ma lui non voleva parlare, e così mi arresi. «Finita la cena, cominciò a parlare lui. Non hai mai sentito la sua voce, perciò mi è difficile farti capire quanto fosse affascinante, quanto le sue parole fossero intriganti. Era come un serpente che mi sussurrasse parole mielate nelle orecchie. Non ho mai sentito un uomo più convincente e impressionante. Mi descrisse una visione: l'immagine dell'Impero come avrebbe voluto che fosse. In tutto il paese sarebbero sorte splendide città, popolate dai più valorosi guerrieri, da artigiani, musicisti e filosofi. Gli Urgali sarebbero stati finalmente estirpati. E l'Impero si sarebbe espanso in ogni direzione fino a raggiungere i quattro angoli di Alagasëia. Pace e prosperità avrebbero regnato, ma la cosa davvero meravigliosa era la sua intenzione di riportare in auge i Cavalieri perché governassero con giustizia i suoi feudi.
«Lo ascoltai incantato per quelle che devono essere state ore intere. Quando ebbe finito gli chiesi come poteva restaurare l'ordine dei Cavalieri, dato che tutti sapevano che non erano rimaste uova di drago. Galbatorix si irrigidì e mi fissò, pensieroso. Per lunghi minuti rimase in silenzio, ma poi mi tese la mano e disse; "Figlio del mio amico, vuoi essere al mio fianco nel realizzare questo paradiso?"
«Sebbene conoscessi la storia di come lui e mio padre avevano assunto il potere, il sogno che aveva dipinto per me era troppo allettante, troppo seducente per ignorarlo. Mi sentii colmare di eccitazione per la missione, e gli diedi la mia, parola. Ovviamente compiaciuto. Galbatorix mi diede la sua benedizione e mi congedò dicendo; "Ti chiamerò quando arriverà il momento."
«Passarono parecchi mesi. Quando mi mandò a chiamare, sentii rinascere in me quell'ardore evocato dalla sua visione. Ci incontrammo da soli come la prima volta, ma quel giorno non lo trovai cordiale né affascinante. I Varden avevano appena distrutto tre delle sue brigate nel sud del paese, e la sua ira era esplosa. Mi incaricò con voce terribile di guidare un reparto di soldati e andare a distruggere Cantos, dove si sapeva che i ribelli avevano un nascondiglio. Quando gli chiesi che cosa dovevamo fare del popolo e come avremmo fatto a sapere se erano colpevoli, lui gridò: "Sono tutti traditori! Bruciateli sul rogo e seppellite le loro ceneri nel fango!" Continuò a inveire contro i suoi nemici, descrivendo come avrebbe bruciato le terre di chiunque lo avesse ostacolato. «Il suo tono era così diverso da quando lo avevo incontrato la prima volta; mi fece capire che non possedeva la pietà o la lungimiranza per guadagnarsi la lealtà dei sudditi, e che governava soltanto con la forza bruta guidata dalle sue passioni. Fu in quel momento che mi decisi a fuggire per sempre da lui e da Urù'baen.