Paolini1-Eragon.doc - Volodyk
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Era in un appartamento di due stanze, sontuosamente decorato, con intarsi di legno e piante penzolanti. L'aria era calda, umida e profumata. Dalle pareti e dal basso soffitto pendevano numerose lanterne accese. Cumuli di oggetti affascinanti affollavano il pavimento, nascondendo gli angoli. Nella stanza accanto si intravvedeva un grande letto a colonnine, immerso in un'altra giungla di piante.
Al centro della stanza principale, seduta su una sontuosa poltrona di pelle, c'era Angela, la maga indovina. Lo accolse con un largo sorriso.
«Che cosa ci fai qui?» esclamò Eragon.
Angela si raccolse le mani in grembo. «Be', perché non ti siedi sul pavimento, così te lo dico? Ti offrirei una sedia, ma quella su cui sono seduta è l'unica che ho.» Eragon si sedette fra due ampolle colme di un acre liquido verde gorgogliante, con la mente invasa dalle domande.
«Dunque!» esclamò Angela, protesa verso di lui. «Allora sei un Cavaliere. L'ho sempre sospettato, ma ne ho avuto la conferma soltanto ieri. Sono sicura che Solembum lo sapesse, ma non me l'ha mai detto. Avrei dovuto capirlo non appena mi parlasti di Brom! Saphira... mi piace questo nome, è perfetto per una dragonessa.»
«Brom è morto» disse Eragon senza tanti preamboli. «I Ra'zac l'hanno ucciso.»
Angela fu colpita dalla notizia. Si avvolse intorno al dito una ciocca dei lunghi riccioli e mormorò: «Mi dispiace, mi dispiace davvero.»
Eragon sorrise amaro. «Ma non sei sorpresa, vero? In fondo avevi previsto la sua morte.» «Non sapevo chi sarebbe morto» disse lei, scuotendo il capo. «Ma no... non sono sorpresa. Ho incontrato Brom una volta o due. Non apprezzava il mio atteggiamento frivolo nei riguardi della magia. Lo irritava.»
Eragon aggrottò la fronte. «A Teirm ridesti del suo destino e dicesti che era una specie di burla. Perché?»
Il volto di Angela si fece serio per un istante. «A pensarci adesso, dire una cosa del genere è stato di pessimo gusto da parte mia, ma non sapevo che cosa gli sarebbe accaduto. Come posso spiegarti? In un certo senso. Brom era condannato. Era il suo wyrda fallire in ogni impresa tranne una, anche se non per colpa sua. Fu scelto come Cavaliere, ma il suo drago fu ucciso. Si innamorò di una donna, ma fu il suo affetto che la portò alla rovina. E fu scelto, presumo, per sorvegliarti e addestrarti, ma alla fine ha fallito anche in questo. L'unica cosa in cui ha avuto successo è stato uccidere Morzan; non avrebbe potuto compiere un'impresa migliore.»
«Brom non mi ha mai parlato di una donna» ribatte Eragon.
Angela scrollò le spalle. «L'ho saputo da qualcuno che non può aver mentito. Ma non ne parliamo più! La vita va avanti, e non dovremmo disturbare i morti con i nostri affanni.» Raccolse una manciata di vimini dal pavimento e cominciò a intrecciarli con abili movimenti, mostrando che considerava chiuso il discorso.
Eragon esitò, poi si arrese. «D'accordo. Ma che cosa ci fai qui a Tronjheim, invece di essere a Teirm?»
«Ah, finalmente una domanda interessante» disse Angela. «Dopo aver sentito pronunciare il nome di Brom durante la tua visita, ho avuto la sensazione che il passato stesse tornando in Alagasëia. La gente mormorava che l'Impero stesse cercando un Cavaliere. Sapevo che l'uovo di drago in mano ai Varden doveva essersi schiuso, e così ho chiuso il negozio e mi sono messa in viaggio per saperne di più.»
«Sapevi dell'uovo?»
«Naturale: non sono una stupida. Guarda che sono al mondo da molto più tempo di quanto tu non creda. È difficile che mi sfugga qualcosa.» Fece una pausa e si concentrò sul lavoro d'intreccio. «Comunque, sapevo di dover raggiungere i Varden al più presto. È quasi un mese ormai che sono qui, anche se questo posto non mi piace molto... odora troppo di muffa per i miei gusti. E nel Farthen Dùr sono tutti così seri e altezzosi. Probabilmente sono tutti destinati a una fine tragica, in un modo o nell'altro.» Trasse un lungo sospiro, un'espressione ironica sul volto. «E i nani sono soltanto una massa di babbei superstiziosi che si accontentano di picconare rocce per tutta la vita. L'unico lato positivo del Farthen Dùr è che qui crescono un sacco di funghi e licheni interessanti.» «Allora perché resti?» le chiese Eragon con un sorriso.
«Perché mi piace essere lì dove accadono eventi importanti» rispose Angela, inclinando la testa da un lato. «E poi, se fossi rimasta a Teirm, Solembum sarebbe partito senza di me, e a me piace la sua compagnia. Ma dimmi, quali avventure ti sono capitate da quando ci siamo visti?» Per tutta l'ora che seguì, Eragon raccontò in breve le esperienze degli ultimi due mesi e mezzo. Angela lo ascoltò in silenzio, ma quando il giovane fece il nome del suo compagno di viaggio, esclamò sdegnata: «Murtagh!»
Eragon annuì. «Mi ha rivelato lui la sua identità. Ma fammi finire il racconto, prima di esprimere qualsiasi giudizio.» Proseguì la sua storia. Quando ebbe finito. Angela sprofondò pensierosa nella poltrona, il lavoro d'intreccio abbandonato sulle gambe. Senza preavviso, Solembum sbucò da chissà quale nascondiglio e le saltò in grembo. Si acciambellò, sotto le carezze distratte di Angela, e guardò Eragon con occhi penetranti.
«Affascinante» commentò Angela. «Galbatorix alleato con gli Urgali, e Murtagh finalmente allo scoperto... Ti consiglio di stare in guardia, con lui, ma Ovviamente sai già quali pericoli corri.» «Murtagh si è dimostrato un amico fidato e un prezioso alleato» ribatte Eragon con fermezza. «Sarà... ma stai attento.» Angela fece una pausa, poi aggiunse, in tono disgustato: «E c'è la questione di questo Spettro. Durza. Credo che al momento sia la minaccia.più grave per i Varden, a parte Galbatorix. Odio gli Spettri... praticano la forma più sacrilega di magia, dopo la negromanzia. Mi piacerebbe infilzargli il cuore con uno spillone e darlo in pasto ai porci!»
Eragon rimase sconcertato dalla sua improvvisa veemenza. «Non capisco. Brom mi ha detto che gli Spettri sono stregoni che usano gli spiriti per compiere il proprio volere, ma perché questo li rende così malvagi?»
Angela scosse la testa. «Non è così. Gli stregoni normali sono appunto questo, normali... né meglio né peggio di tutti noi. Usano le loro capacità magiche per controllare gli spiriti e il potere degli spiriti. Gli Spettri tuttavia rinunciano a quel controllo per conquistare un potere maggiore e permettono al proprio corpo di essere controllato dagli spiriti. Purtroppo, soltanto gli spiriti maligni cercano di possedere gli umani, e una volta insediati, non se ne vanno più. Questa possessione può avvenire per sbaglio, se uno stregone evoca uno spirito più forte di lui. Il problema è che una volta creato uno Spettro, è terribilmente difficile ucciderlo. Come sono certa saprai, soltanto due persone. Laetri l'Elfo e Irnstad il Cavaliere, sono riusciti in questa impresa.»
«L'ho sentito dire.» Eragon fece un ampio gesto con la mano. «Come mai vivi quassù? Non è scomodo, restare così isolata? E come hai fatto a portare qui tutta questa roba?»
Angela gettò indietro la testa e rise di gusto. «Vuoi saperlo proprio? Mi nascondo. Quando sono arrivata a Tronjheim, ho passato qualche giorno in pace... finché una delle guardie che mi ha fatto entrare nel Farthen Dùr ha cominciato a raccontare in giro chi sono. A quel punto tutti i maghi di qui, anche se nessuno di loro merita tale appellativo, hanno preso a insistere perché mi unissi alla loro setta segreta. Specie quei due drajl di Gemelli che la controllano. Alla fine ho minacciato di trasformarli in rospi... scusa, in rane, ma quando nemmeno questo li ha fermati, sono salita quassù nel cuore della notte. È stato meno complicato di quanto tu creda, per una con le mie capacità.» «Hai permesso ai Gemelli di esaminarti la mente prima di entrare nel Farthen Dùr?» chiese Eragon. «Io sono stato costretto a lasciarli frugare fra i miei ricordi.»
Un lampo di gelo balenò negli occhi di Angela. «I Gemelli non avrebbero mai osato esaminarmi, per paura di ciò che avrei potuto fare loro. Oh, sì, avrebbero voluto, ma sapevano che lo sforzo li avrebbe ridotti a due mentecatti balbettanti. Frequento questo posto da molto prima che i Varden cominciassero a scrutare la mente delle persone... e non ho alcuna intenzione di consentire che lo facciano adesso.»
Sbriciò nell'altra stanza e disse: «Bene! È stata una conversazione molto istruttiva, ma temo che sia ora che tu te ne vada. La mia pozione di radici di mandragola e lingua di tritone sta per bollire, e devo sorvegliarla. Torna quando avrai tempo, E ti prego, non dire a nessuno che sono qui. Non vorrei dover traslocare di nuovo. Mi seccherebbe parecchio... e tu non vuoi vedermi seccata, vero?» «Manterrò il tuo segreto» promise Eragon, e si alzò.
Solembum balzò giù dalle gambe di Angela, mentre anche lei si alzava. «Bene!» esclamò l'indovina.
Eragon la salutò e uscì. Solembum lo guidò di nuovo alla roccaforte, poi si congedò con un guizzo di coda prima di scivolare via.
IL RE DELLA MONTAGNA
S
ulla roccaforte, Eragon trovò un nano ad attenderlo. Dopo essersi inchinato e aver borbottato «Argetlam» il nano aggiunse, con un pesante accento: «Bene. Sveglio. Knurla Orik ti aspetta.» S'inchinò di nuovo e corse via. Saphira balzò giù dalla sua caverna e atterrò
accanto a lui. Teneva Zar'roc fra gli artigli.
A che cosa serve? domandò lui, accigliato.
Saphira inclinò la testa. Prendila. Sei un Cavaliere e dovresti portare la spada di un Cavaliere. Zar'roc ha un passato di sangue, ma questo non deve modificare le tue azioni. Plasma un nuovo futuro per lei, e portala con orgoglio.
Sei sicura? Ricorda il consiglio di Ajihad.
Saphira sbuffò, e un ricciolo di fumo le risalì dalle narici. Portala, Eragon. Se desideri mantenerti al di sopra delle forze in gioco, non farti influenzare dai pensieri altrui.
Come vuoi, disse Eragon esitante, allacciandosi la spada alla vita. Si arrampicò in groppa alla dragonessa, e Saphira spiccò il volo dalla cima di Tronjheim. C'era abbastanza luce nel Farthen Dùr ora che la massa nebulosa delle pareti del cratere, cinque miglia in ogni direzione, era visibile. Mentre scendevano a spirale verso la base della città-montagna, Eragon raccontò a Saphira del suo incontro con Angela.
Non appena furono atterrati vicino a uno dei cancelli di Tronjheim. Orik corse loro incontro. «Il mio sovrano, re Rothgar, desidera vedervi entrambi. Fate in fretta.»
Eragon smontò da Saphira e seguì il nano dentro Tronjheim. Saphira li seguì senza difficoltà. Ignorando gli sguardi dei curiosi lungo il corridoio. Eragon chiese: «Dove incontreremo Rothgar?» Senza rallentare. Orik rispose: «Nella sala del trono, sotto la città. Sarà un'udiènza privata come atto di otho, di fede. Non occorre che ti rivolga a lui in nessun modo speciale, ma parlagli con rispetto. Rothgar si adira facilmente, ma è saggio e un esperto conoscitore della mente degli uomini, perciò rifletti prima di parlare.»
Una volta entrati nella sala centrale di Tronjheim. Orik imboccò una delle due scale discendenti che fiancheggiavano il corridoio di fronte. Era quella di destra, che curvava dolcemente verso l'interno fino a riprendere la direzione da cui erano venuti. L'altra si univa a questa per formare un'ampia scalinata fiocamente illuminata, che terminava, dopo cento piedi, davanti a una porta di granito a due battenti. Su entrambi era incisa una corona a sette punte.
Sette nani erano a guardia di ciascun lato della porta. Impugnavano picconi di metallo brunito e indossavano elmi tempestati di gemme. Mentre Eragon. Orik e Saphira si avvicinavano, i nani picchiarono per terra col manico dei loro picconi. Un cupo rimbombo echeggiò per le scale. I due battenti si aprirono verso l'interno.
Davanti a loro c'era una sala scura, lunga un buon tiro di freccia. La sala del trono era una caverna naturale; le pareti erano costellate di stalagtiti e stalagmiti, ciascuna più grossa di un uomo. Il pavimento scuro era liscio e levigato. In fondo alla sala c'era un trono nero che ospitava una figura immobile. Orik s'inchinò. «Il re vi aspetta.» Eragon posò una mano sul fianco di Saphira, e i due avanzarono insieme. Le porte si chiusero alle loro spalle, lasciandoli soli nella penombra della sala con il re.
Ogni loro passo echeggiava nella sala mentre avanzavano verso il trono. Nei recessi fra le stalattiti e le stalagmiti erano incassate grandi statue. Ogni scultura raffigurava un re dei nani con la corona, seduto sul trono; i loro occhi vuoti fissavano in lontananza, i. volti rugosi fermati in espressioni feroci. Un nome era cesellato con le rune sotto ogni paio di piedi.
Eragon e Saphira avanzarono solennemente tra le due file di monarchi defunti. Superarono oltre quaranta statue; poi c'erano oscure nicchie vuote, in attesa dei re futuri. Si fermarono al cospetto di Rothgar, in fondo alla sala.
Anche il re dei nani sedeva come una statua su un trono ricavato da un unico blocco di marmo nero, tozzo, disadorno e tagliato con estrema precisione. Il sovrano emanava una grande forza, una forza che risaliva ai tempi antichi in cui i nani avevano governato in Alagasëia, senza interferenze di elfi o umani. In testa, al posto della corona, portava un elmo rotondo, d'oro tempestato di diamanti e rubini. Il suo volto era arcigno, segnato dal tempo e solcato da rughe di esperienza. Sotto la fronte sporgente e le sopracciglia cespugliose brillavano occhi scuri e penetranti. Sul torace massiccio indossava una cotta di maglia. Portava la lunga barba bianca infilata nella cintura, e in grembo teneva un potente martello da guerra con il simbolo del clan dì Orik inciso sulla testa. Eragon si piegò goffamente su un ginocchio. Saphira rimase eretta. Il re si mosse, come svegliandosi da un lungo sonno, e borbottò: «Alzati. Cavaliere, non occorre che mi tributi alcun omaggio.»
Rialzandosi, Eragon incontrò gli occhi impescrutabili di Rothgar. Il re lo squadrò severo, poi disse con voce gutturale: «Àz knurl deimi lanok. Attenzione, la roccia cambia. Un vecchio detto che usa da noi. E oggi la roccia cambia molto in fretta, davvero.» Accarezzò l'impugnatura del martello. «Non ti ho potuto ricevere prima, come ha fatto Ajihad, perché sono stato costretto a occuparmi dei miei nemici all'interno dei clan. Pretendevano che ti negassi asilo e ti cacciassi dal Farthen Dùr. Mi ci è voluto molto per convincerli del contrario.»
«Ti ringrazio» disse Eragon. «Non sapevo che il mio arrivo avrebbe causato tanti problemi.» Il re accettò i ringraziamenti, poi levò una mano nodosa e indicò le statue lontane. «Guarda. Cavaliere Eragon, dove i miei predecessori siedono sui loro troni scolpiti. Sono quarantuno, e io sono il quarantaduesimo. Quando da questo mondo passerò nelle mani degli dei, la mia hìrna verrà aggiunta a quella schiera. La prima statua è quella del nostro antenato Korgan, che forgiò questa mazza. Volund. Per otto millenni, fin dall'alba della nostra razza, i nani hanno governato sotto il Farthen Dùr. Siamo le ossa della terra, più antichi sia dei leggiadri elfi che dei selvaggi draghi.» Saphira si mosse appena.