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Paolini1-Eragon.doc - Volodyk

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«Ma se questo è vero, l'unico modo per salvare Roran è far sapere ai Ra'zac dove mi trovo: così inseguiranno me invece di lui.»

«No, nemmeno questo funzionerebbe. Non stai usando il cervello» lo rimproverò Brom. «Se non riesci a capire i tuoi nemici, come puoi aspettarti di anticipare le loro mosse? Anche se tu rivelassi la tua posizione, i Ra'zac darebbero lo stesso la caccia a Roran. E sai perché?»

Eragon pensò a ogni possibilità. «Be', se resto nascosto abbastanza a lungo da innervosirli, cattureranno Roran per costringermi a uscire allo scoperto. E se questo non funziona, lo uccideranno solo per farmi soffrire. E se divento un nemico pubblico dell'Impero, potrebbero usarlo come esca per catturarmi. E se mi incontro con Roran e loro lo scoprono, lo tortureranno per scoprire il mio nascondiglio.»

«Bravo. Così la situazione è posta nei giusti termini» disse Brom.

«Ma allora qual è la soluzione? Non posso permettere che lo uccidano!»

Brom intrecciò le dita. «La soluzione mi pare ovvia. Roran dovrà imparare a difendersi da solo. Magari può suonarti spietato, ma come hai detto tu stesso, non puoi rischiare di incontrarti con lui. Forse non te lo ricordi... all'epoca deliravi… ma quando siamo partiti da Carvahall, ti dissi di aver lasciato una lettera di avvertimento per Roran perché non fosse del tutto impreparato al pericolo. Se ha un briciolo di buon senso, quando i Ra'zac si faranno di nuovo vedere a Carvahall, seguirà il mio consiglio e fuggirà.»

«Non mi piace» disse Eragon in tono mesto.

«Già, ma dimentichi una cosa.»

«Cosa?»

«C'è una nota positiva in tutto questo. Il re non può permettersi di lasciare in circolazione un Cavaliere che non sia sotto il suo controllo. Galbatorix è l'unico Cavaliere vivo, oltre a te, ma credo che gli piacerebbe averne un altro al suo servizio. Prima di uccidere te o Roran, ti proporrà di servirlo. Purtroppo, se mai riuscisse ad avvicinarsi abbastanza da farti questa offerta, ormai sarebbe troppo tardi per te per rifiutare e restare vivo.»

«E la chiami una nota positiva!»

«È l'unica cosa che può proteggere Roran. Finché il re non sa da che parte stai, non rischierà di allontanarti da sé facendo del male a tuo cugino. Tienilo bene a mente. I Ra'zac hanno ucciso Garrow, ma credo che sia stata una decisione sventata, presa in modo arbitrario. Da ciò che conosco di Galbatorix, non avrebbe mai approvato un atto simile, a meno di non averne un tornaconto.» «Ma come farò a respingere la proposta del re se mi troverò sotto minaccia di morte?» disse Eragon, pungente.

Brom sospirò. Si avvicinò a un tavolino e immerse le dita in un bacile d'acqua di rose. «Galbatorix vuole che tu scelga di aiutarlo. Altrimenti sei più che inutile per lui. Perciò la domanda è questa: se mai ti dovessi trovare di fronte a questa scelta, sarai disposto a morire per ciò in cui credi? Perché questo è l'unico modo che avrai di rifiutarti.»

La domanda rimase senza risposta.

Alla fine Brom disse: «È un arduo dilemma, a cui non potrai rispondere finché non ti troverai ad affrontarlo. Rammenta che molte persone sono morte per le proprie convinzioni; succede spesso. Il vero coraggio consiste nel vivere e soffrire per ciò in cui credi.»

L'INDOVINA E IL GATTO MANNARO

E

ragon si svegliò tardi, la mattina dopo. Si vestì, si lavò il viso nel bacile, poi inclinò lo specchio per ravviarsi i capelli. Qualcosa nella sua immagine riflessa lo bloccò con le mani a mezz'aria. Si avvicinò per vedere meglio e notò che il proprio volto era cambiato da

quando era fuggito da Carvahall, poco tempo prima. Le rotondità della fanciullezza erano scomparse, cancellate dalle fatiche del viaggio e dell'addestramento. Gli zigomi erano più pronunciati, la linea della mascella più marcata. Intorno agli occhi aveva ombre scure che gli conferivano un'aria selvaggia, aliena. Tenne lo specchio a distanza di braccio, e il suo volto riprese il suo aspetto normale: eppure pareva non appartenergli.

Turbato, si mise l'arco e la faretra a tracolla e uscì dalla camera. Prima di arrivare in fondo al corridoio, il maggiordomo gli andò incontro e disse: «Signore. Neal e il mio padrone sono usciti presto stamattina, diretti al castello. Hanno detto di fare ciò che desiderate quest'oggi, perché non torneranno che stasera.»

Eragon lo ringraziò per il messaggio e decise di andare subito a esplorare Teirm. Vagò per ore nelle vie, entrando in ogni bottega che colpiva la sua fantasia e chiacchierando con varie persone. Alla fine, la pancia e le tasche vuote lo costrinsero a prendere la via del ritorno a casa di Jeod. Quando arrivo nella strada dove abitava il mercante, sì fermò davanti alla porta dell'erborista. Era un luogo insolito per una bottega. Tutti gli altri negozi si trovavano lungo le mura della città, e non stipati come quello fra due imponenti edifici del quartiere elegante. Provò a spiare dalle finestre, ma la vista era ostruita da un fitto groviglio di piante all'interno. Incuriosito, entrò.

Sulle prime non vide niente perché il negozio era buio, ma poi i suoi occhi si abituarono alla fioca luce verdastra che filtrava dalle finestre. Un uccello variopinto dalla lunga coda piumata e dal lungo becco aguzzo lo guardò torvo da una gabbia appesa vicino alla finestra. Le pareti erano coperte di piante; dal soffitto pendeva una moltitudine di rampicanti tra cui s'intrawedeva a stento un vecchio candelabro, mentre sul pavimento era posato un grosso vaso con un fiore giallo. Mortai, pestelli e ciotole di metallo di varie dimensioni affollavano il lungo bancone, insieme a una sfera di cristallo trasparente, grossa quanto la testa di Eragon.

Il ragazzo si avvicinò al banco, attento a evitare complicati macchinari, casse di pietre, pile di pergamene e altri oggetti che non riconobbe. La parete alle spalle del banco era tappezzata di cassetti, alcuni non più grandi del suo dito mignolo, altri tanto ampi da contenere un barile. In alto, fra gli scaffali, c'era uno spazio vuoto.

Un paio di occhi rossi balenarono all'improvviso da quell'anfratto buio, e un grosso gatto altero balzò sul bancone. Il suo corpo era asciutto, con spalle possenti e zampe enormi. Il muso a triangolo era circondato da un'ispida criniera; le orecchie a punta terminavano con due folti ciuffi neri, e sul labbro di sotto sporgevano due candide zanne. Nell'insieme, non assomigliava a nessun gatto che Eragon avesse mai visto. L'animale lo squadrò con occhi penetranti, poi agitò la coda, soddisfatto. D'impulso, Eragon dilatò la mente e toccò la coscienza del gatto. Con delicatezza, sfiorò i suoi pensieri nel tentativo di fargli capire che era un amico.

Non devi.

Eragon si guardò intorno allarmato. Il gatto lo ignorò e si leccò una zampa, Saphira. Dove sei? chiese. Nessuno rispose. Perplesso, si protese sul banco e tese una mano verso quella che sembrava una bacchetta di legno.

Fossi in te non lo farei.

Smettila di burlarti di me, Saphira, ribattè aspramente, e prese la bacchetta. Una violenta scossa elettrica gli esplose nel corpo mandandolo a gambe all'aria sul pavimento. Il dolore si attenuò, pian piano, lasciandolo boccheggiante. Il gatto balzò giù e lo guardò.

Non sei tanto furbo, per essere un Cavaliere dei Draghi.

Eppure ti avevo avvertito.

Sei tu che parli! esclamò Eragon. Il gatto sbadigliò, si stiracchiò e prese a girellare per il negozio, aggirando con grazia gli ostacoli,

Chi altri, sennò?

Ma sei solo un gatto! osservò Eragon.

Il gatto miagolò irritato e si volse. Gli saltò sul petto e si accoccolò, fissandolo con gli occhi scintillanti. Eragon cercò di alzarsi a sedere, ma il gatto ringhiò, mostrando i denti, ti sembro come gli altri gatti?

No…

E allora che cosa ti fa pensare che lo sia? Eragon fece per dire qualcosa, ma la creatura gli conficcò le unghie nel petto. Ovviamente la tua educazione presenta gravi lacune. Per tua informazione, io sono un gatto mannaro. Non siamo rimasti in molti, ma credo che perfino un contadinotto come te dovrebbe aver sentito parlare di noi.

Non sapevo che foste veri, disse Eragon, affascinato. Un gatto mannaro! Era proprio fortunato. I gatti mannari comparivano ai margini di molte leggende, creature solitarie che in rare occasioni elargivano saggi consigli. Se le leggende erano vere, essi avevano poteri magici, vivevano più a lungo degli esseri umani, e sapevano molto più di quanto non dicessero.

Il gatto mannaro sbatté le palpebre pigramente. L'esistenza non dipende dalla conoscenza. Io non sapevo che tu esistessi finché non sei piombato in negozio a interrompere il mio sonnellino. Ma questo non significa che tu non fossi vero prima di svegliarmi.

Eragon si smarrì nel ragionamento.

M i dispiace di averti disturbato.

Mi sarei svegliato comunque, disse il gatto. Saltò sul bancone e si leccò una zampa. Se fossi in te, non continuerei a tenere in mano quella bacchetta. Fra qualche secondo ti fulminerà di nuovo.

Eragon si affrettò a rimetterla dove l'aveva trovata. Cos'è? Un manufatto comune e insignificante,

al contrario di me. A cosa serve?

Non l'hai capito da solo? Il gatto mannaro finì di pulirsi le zampe, si stiracchiò di nuovo, e con un balzo tornò nella sua cuccia sullo scaffale. Si accoccolò con le zampe sotto il petto e chiuse gli occhi, facendo le fusa.

Aspetta, disse Eragon. Come ti chiami?

Il gatto mannaro aprì uno degli occhi a mandorla. Ho molti nomi. Se vuoi sapere il mio vero nome, dovrai cercare da qualche altra parte. L'occhio si chiuse. Eragon si arrese e si volse per andarsene. Comunque, puoi chiamarmi Solembum.

Grazie, disse Eragon serio. Le fusa di Solembum si fecero più sonore.

La porta del negozio si aprì, lasciando entrare un fascio di luce. Comparve Angela, con una sacca di tela piena di piante. I suoi occhi fissarono Solembum per qualche istante e la sua espressione parve sconcertata. «Dice che vi siete parlati.»

«Anche tu puoi parlargli?» chiese Eragon.

La donna fece un gesto d'impazienza. «Naturale: solo che questo non sempre vuol dire che mi risponda.» Posò le piante sul bancone, poi lo aggirò e fronteggiò Eragon. «Gli sei simpatico. Ed è un fatto insolito. Solembum di solito non si fa nemmeno vedere dai clienti. Sai, dice che da qui a qualche anno ti dimostrerai una promessa.»

«Grazie.»

«È un gran complimento, detto da lui. Sei soltanto la terza persona che è entrata qui con cui ha parlato. La prima fu una donna, tanti anni fa; il secondo un mendicante cieco; e adesso tu. Ma non tengo un negozio solo per chiacchierare. Desideri qualcosa? O sei venuto solo a dare un'occhiata?» «Solo per un'occhiata» disse Eragon, pensando ancora al gatto marinaro. «Non credo che mi servano le erbe.»

«Non è l'unica cosa di cui mi occupo» disse Angela con un sorriso. «Gli stupidi riccastri mi pagano per avere pozioni d'amore e cose del genere. Non ho mai detto che funzionano, ma per qualche ragione quelli tornano sempre. Però non.credo che tu voglia quelle porcherie. Vuoi che ti predica il futuro? Faccio anche questo, per le stupide riccastre.»

Eragon scoppiò a ridere. «No, temo che il mio futuro sia imprevedibile. E non ho soldi.» Angela scoccò una strana occhiata a Solembum. «Credo...» Indicò la sfera di cristallo sul banco. «Questa è solo uno specchietto per le allodole, in realtà non serve a niente. Ma ho... Aspetta qui, torno subito.» E scomparve nel retrobottega.

Tornò trafelata con un sacchetto di pelle che posò sul banco. «Non le uso da tanto di quel tempo che mi ero quasi dimenticata dove le avevo messe. Adesso siediti qui davanti e ti mostrerò perché mi prendo tanto disturbo.» Eragon spostò uno sgabello e si sedette. Gli occhi di Solembum rosseggiavano dal buio spazio fra i cassetti.

Angela aprì il sacchetto e ne rovesciò il contenuto su di un pezzo di stoffa che aveva spiegato sul banco. Erano piccole ossa, poco più grandi di un dito, con incisi simboli e rune. «Queste» disse lei, sfiorandole con delicatezza. «sono ossa dì zampa di drago. Non chiedermi dove le ho prese, perché tanto non te lo dico. Al contrario delle foglie di té, delle sfere di cristallo, o anche dei tarocchi, possiedono un vero potere. Non mentono mai, anche se capire ciò che dicono è complicato. Se lo desideri, le lancerò per leggerti il futuro. Sappi però che conoscere il proprio destino può essere una cosa terribile. Devi essere sicuro della tua decisione.»

Eragon guardò le ossa con un brivido di terrore. Questi sono i resti di ciò che un tempo era un simile di Saphira. Conoscere il proprio destino... Come faccio a prendere una decisione quando non so che cosa mi aspetta e se mi piacerà? L'ignoranza è una vera benedizione. «Perché me lo hai proposto?» chiese.

«Per via di Solembum. Può essere stato scortese, ma il fatto che ti abbia parlato ti rende speciale. Lui è un gatto marinaro, in fin dei conti. Proposi la stessa cosa anche agli altri due che parlarono con lui, ma soltanto la donna accettò. Si chiamava Selena. Ah, ma quanto se ne pentì. Il suo destino era triste e doloroso. Non credo che ci abbia creduto... non subito, almeno.»

Eragon si sentì travolgere da un'intensa emozione e gli vennero le lacrime agli occhi. «Selena» mormorò fra sé. Il nome di sua madre, Era lei? Il suo destino era così orribile da indurla ad abbandonarmi? «Ti ricordi qualcosa della predizione?» domandò con un vuoto allo stomaco. . Angela scosse il capo e sospirò. «È passato tanto di quel tempo che i dettagli si sono dissolti nella mia memoria, che non è più buona come una volta. D'altro canto, non ti direi mai quello che ricordo. La mia predizione era per lei e lei soltanto, Era triste, però; non scorderò mai la sua espressione.»

Eragon chiuse gli occhi per arginare il flusso di emozioni. «Perché ti lamenti della tua memoria?» domandò, per distrarsi. «Non sei tanto vecchia.»

Sulle guance di Angela comparvero due fossette. «Sono lusingata, ma non farti ingannare; sono molto più vecchia di quanto non sembri. L'aspetto giovanile lo devo alle erbe che mangio nei tempi di magra.»

Eragon sorrise e trasse un lungo respiro. Se era mia madre ed è riuscita a sopportare il fardello della conoscenza del proprio destino, farò altrettanto. «Lancia le ossa per me» disse, in tono solenne.

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